1° CAPITOLO: Pensieri e ricordi
Un Pokémon bianco era steso sul letto, con un'ala che pendeva da un lato. Aveva le minuscole zampe di un color azzurro chiaro, lo stesso che decorava l'estremità degli arti superiori, e un enorme becco giallo splendente. Nell'insieme, somigliava decisamente ad un pellicano, se solo non sapesse parlare con gli umani e camminare sulla terraferma, come ogni Pokémon. Respirava regolarmente, con il petto che si gonfiava dolcemente. Le stelle splendevano in cielo, e offrivano serenità e pace. Tutto intorno pareva alquanto quieto, se non fosse per il pellicano, che aveva cominciato improvvisamente ad agitarsi nel letto, e in un attimo aprì gli occhi. Pelipper si alzò di soprassalto. Il Pokémon guardò la sveglia. Erano ancora le cinque e mezzo, e chiaramente era l’unico sveglio nel cuore della notte. Il pellicano rabbrividì. Tra meno di due giorni si sarebbe separato dal suo allenatore, Lorenzo, per via dell’inizio della scuola. Per Pelipper sarebbe stato il primo giorno d’insegnamento, per Lorenzo invece non era una nuova esperienza.
Il Pokémon si chiedeva da tanto tempo cosa gli avrebbero insegnato. Probabilmente delle tecniche per i combattimenti, modi per evitare gli attacchi, ma anche qualcosa per vivere in sintonia con i propri Allenatori ed imparare un po’ della loro cultura. Di una cosa era sicuro: Lorenzo era la persona, a parte i suoi amici, con cui stava più felicemente, e di certo non aveva bisogno di qualcuno che gli spiegasse come comportarsi con lui. Invece, per le altre cose…magari fosse agile come uno dei suoi due migliori amici, Treecko, o forte e intelligente come l’altro, Bulbasaur. Lui non era particolarmente bravo in niente, escludendo la facilità con cui dialogava con il suo Allenatore.
Oggi però lo aspettava una magnifica giornata con i suoi compagni Pokémon; prima di separarsi da tutti, infatti, aveva chiesto insistentemente di andare a fare una passeggiata nel boschetto vicino con Bulbasaur e Treecko. Dopo una lunga discussione riuscì a convincere i compagni; non che loro non volessero venire per paura; erano già andati parecchie volte in quel luogo selvatico, ma tranquillo, insieme, e sapevano che non era per niente pericoloso, se erano in grado di difendersi da qualche insidioso Pokémon selvatico. Solo che magari erano, anche loro, un po’ angosciati da questa separazione temporale, e forse non sarebbero voluti venire per paura di passare gli ultimi felici momenti, sapendo di non poterli più vivere per un lungo periodo.
Invece Lorenzo pareva tutt’altro che preoccupato per la fine delle vacanze; sembrava soprattutto un po’ di malumore, perché anche se era contrario alla separazione dal suo Pokémon, lui sapeva già cosa l’aspettava; Pelipper, invece…
E con questi pensieri si abbandonò tra le braccia del sonno, aspirando ad un’ultima, spensierata giornata da passare insieme ai suoi amici, che si estendeva davanti a lui, a poche ore da quel momento.
? ? ?
Pelipper, la mattina seguente, fu svegliato dal dolce mormorare della natura. Gli alberi ondeggiavano solennemente, i fiori coloravano i prati, gli uccellini cinguettavano assieme un allegro motivetto. Nascosto nel bosco vicino, in lontananza, stava un piccolo coniglietto, dietro ad una pianta molto alta e circondata da tante foglie cadute. Era giunto l’autunno che si portava via il brio dell’estate, i tuffi in acqua, i castelli di sabbia, le allegre sorvolate sull’oceano.
Il Pokémon decise di non pensare ai recenti ricordi e s’alzò dal suo letto. Si guardò intorno e solo allora notò una busta per terra. Non avendo idea del suo contenuto, la prese e la aprì con una certa curiosità, scoprendo che era stata lasciata dal suo Allenatore. Solo allora si ricordò che quel giorno ricorreva l’anniversario del suo primo incontro con Lorenzo. Pelipper se lo ricordava come se fosse stato ieri.
Era un caldo dì estivo, e il placarsi delle onde suggeriva l’imminente tramonto del sole. Doveva essere molto tardi. Probabilmente sua madre lo aspettava da un pezzo. Lentamente, si diresse verso casa ed iniziò a volare sfiorando il suolo, scrutando un po' deluso la distesa marina che stava per lasciare. Quel giorno si era proprio divertito molto: aveva inseguito ad ore i pesciolini nell'acqua, volando in modo da sfiorare la superficie, ridendo come un matto. Il Pokémon era affascinato dai loro vividi colori e dalla loro grazia, e non aveva avuto intenzione di catturarli neanche per un momento. Pelipper amava gli animali, di qualunque genere, e non aveva mai osato far del male a delle creaturine così piccole e innocenti. Era un Pokémon buono, ed era molto strano per un piccolo, forse unico. Di solito, tutti i Pokémon della sua stessa età che aveva incontrato si erano rivelati delle piccole pesti, che correvano sempre da tutte le parti senza uno scopo preciso. Più che altro pareva che il loro fine fosse quello di creare più confusione possibile. D'altro canto, Pelipper aveva udito molte volte i loro genitori parlare tranquillamente e difenderli, come se fosse un comportamento abituale. Non si era mai chiesto se sua mamma si fosse mai preoccupata per quel suo carattere insolito, ma pensando a quei suoi sorrisi, e ai buoni dolci che gli sfornava ogni mattina per colazione, capì che in ogni caso gli avrebbe voluto bene anche se fosse stato l'unico Pokémon diverso in tutto il pianeta. Sorrise, e proseguì la strada verso casa con in petto una sensazione di profondo affetto verso sua madre.
Giunto però a metà della spiaggia, sentì uno strano rumore. Si voltò verso la riva, ma vide solo un gruppetto di ragazzi che stavano divertendosi a lanciare sassi contro alcuni pesciolini che avevano catturato, e che tenevano sulla spiaggia. Cercò di reprimere il moto di rabbia, ma quello ribollì nel suo petto ancora più forte di prima.
«SMETTETELA!» gridò. Le persone vicine si voltarono spaventate, mentre lui avanzava furioso verso i ragazzi. «SMETTETELA, HO DETTO!» continuò, e solo allora il gruppetto si girò, e per un attimo si ritrovarono a scrutare torvi Pelipper. Presero delle grosse pietre appuntite, mentre il più alto fra loro disse: «Cosa vuoi? Ci stavamo divertendo, e tu ci vieni a interrompere. Ma visto che non vuoi che facciamo male a quei pesciolini, useremo te come esca, che ne dici? Hai voglia di fare l'eroe?».
Se avessero voluto infondergli terrore o spaventarlo, non si capiva bene, in ogni caso non ci riuscirono. Benché fosse decisamente più piccolo, il Pokémon continuava a marciare verso di loro con uno sguardo di puro odio. «Lasciateli in mare, oppure...»
«Oppure cosa? Ci picchierai, o ci mangerai con quel tuo brutto becco giallo?». Ormai l'ira di Pelipper era destata, ma cercò di trattenersi. I suoi occhi lampeggiarono per un istante, poi la ragione ebbe la meglio: non aveva alcuna possibilità di salvare quei pesciolini. Il suo viso fu irrigato da una piccola lacrima; cercò di nasconderla invano ai ragazzi, che continuavano a punzecchiarlo: «Ora il piccolo piange. Perché non gli diamo un buon motivo per piangere sul serio? Ma no, altrimenti poi la mamma si preoccupa, chissà cosa sarà successo al suo piccolo, paffuto...». Poi, ad un tratto, s'interruppe. I suoi compagni guardavano Pelipper terrorizzati. Anche lui si girò verso il Pokémon, e cacciò un tremendo urlo. Il pellicano si stava gonfiando, e incuteva un timore innaturale; ma la cosa più strana era il suo atteggiamento: sembrava che non sapesse cosa stesse facendo. Pensava solo a quei ragazzi, nella sua mente c'era un'immagine chiara di tre persone che ridevano alla vista di alcuni animaletti che soffrivano...
Accadde tutto in un momento. Dal suo becco uscì un vortice d'aria così potente che sollevò la sabbia intorno e l'avviluppò, e come se rispondesse ai suoi pensieri si allontanò dal suo creatore e attaccò i ragazzi. I tre rimasero pietrificati davanti a quel terribile spettacolo, i volti impassibili pieni di un misto di stupore e paura. Pelipper, intanto, assisteva alla scena terrorizzato, mentre pensava invano ad un modo per salvare quegli umani. «Sono malvagi, se lo meritano» pensava il pellicano, ma in cuor suo sentiva di aver fatto la cosa sbagliata. D'istinto, senza nemmeno sapere perché, il Pokémon pensò al nulla, al vuoto, respingendo ogni altra sensazione. Come per magia, il vortice si bloccò all'istante, proprio mentre stava per risucchiare i ragazzi, e dopo qualche secondo svanì lentamente sotto terra. Quando la tempesta di sabbia si dissolse, Pelipper fissò il gruppetto, e quelli lo interpretarono come un silenzioso congedo. Ancora terrificati, si voltarono e s'incamminarono rapidamente lungo un viottolo.
Dopo aver rimesso i pesci in acqua, il pellicano ripensò a ciò che aveva appena fatto. Non era possibile, non aveva il potere di evocare l'aria, eppure l'aveva appena manipolata. Ma il fatto che più lo aveva incuriosito fu che non aveva nemmeno pensato a come fare. Gli era venuto spontaneo, come se fosse una cosa che qualcuno gli aveva insegnato a fare...
Ma s'interruppe. Aveva individuato la fonte del rumore di prima; da quando aveva visto quei ragazzi si era dimenticato di ciò che lo aveva fermato. Si guardò intorno, e dopo qualche istante vide un piccolo bambino rannicchiato sotto una panca, intento a piangere. Doveva avere più o meno quattro anni. Rapidamente il pellicano gli si avvicinò, e notò che il piccolo aveva molta paura, anche di lui.
«Ma-mamma...»
Pelipper abbassò la testa e fissò il bambino.
«Ma-mamma...ma-mamma...aaaaaaahhhhh!». Il piccolo aveva preso a tirare pugni qua e là nell'aria, piangendo disperatamente. Pelipper ebbe l'impressione di aver aggravato la situazione del bambino, e si angosciò.
«Tranquillo, non voglio farti del male...»
«Ma-mamma...ma-mamma...»
Il Pokémon allungò l'ala per accarezzarlo e rassicurarlo. Il piccolo serrò gli occhi e prese a tremare, smettendo di piangere. Poi Pelipper lo toccò e il bambino, dopo un ultimo tremito, aprì le palpebre e lo guardò intensamente. Il Pokémon mantenne lo sguardo fisso negli occhi lucenti del piccolo, e quest'ultimo si tranquillizzò e si avvicinò al pellicano, felice di aver trovato qualcuno in grado di proteggerlo. Pelipper gli permise di appoggiarsi a lui e il bambino si addormentò. Il Pokémon non ci pensò due volte: prese la docile creaturina fra le sue calde ali e si allontanò lentamente dalla spiaggia. Le persone lo guardavano stupite, ma erano così poche che il pellicano non ci fece neanche caso. Aveva deciso di portarlo a casa sua, ma poi? Mamma Pelipper non avrebbe potuto crescere un umano, come avrebbe fatto? Assorto in questi pensieri, il Pokémon non si accorse che la luna stava per spuntare. Aveva perso completamente la cognizione del tempo. Affrettò dunque il passo per raggiungere la sua dimora, quando intravide una casa con le luci accese. Ciò era molto strano: tutte le altre abitazioni avevano una o due finestre da cui filtrava la luce, ma questa, invece, era addirittura circondata da un sacco di automobili. Il pellicano si avvicinò, chiaramente incuriosito, ma anche un po’ spaventato. Sulla soglia c’era una donna alta, con i capelli castani ed un’espressione spaventata. Parlava con il fiato grosso ad un tipo, alto e snello, tutto vestito di blu, e con un taccuino in mano. Il marito era probabilmente restato in casa. Tutti parevano allarmati e alquanto inquieti. Pelipper si sforzò, cercando di immaginare la causa di tutto questo panico. Solo dopo un po' di tempo intuì la situazione. Arrivò a pensare che quelli fossero i genitori del bambino trovato sulla spiaggia, ma adesso al sicuro. Cosa fare? Non c’era altro modo. Lentamente si fece coraggio e decise di mostrarsi allo scoperto. La reazione dei presenti fu immediata. Si girarono verso di lui, brandendo un bastone o qualche altro utensile. Il Pokémon s’intimidì parecchio e in un secondo prese una decisione. Con un rapido gesto posò il bambino per terra, come in segno di offerta, e si allontanò cautamente. A un certo punto gli umani capirono e gli si avvicinarono tranquillamente. Pelipper permise loro di recuperare il figlioletto, mentre i genitori lo scrutavano. La mamma fu subito molto riconoscente e accarezzò il pellicano, mentre il padre era intento a controllare lo stato di salute del bambino, ancora addormentato; gli uomini in uniforme salirono sui loro veicoli e se ne andarono, non prima di aver ricevuto le scuse delle due persone dinanzi a lui. Poi la mamma gli parlò.
«Vuoi rimanere qui con noi? Ci hai riportato nostro figlio Lorenzo ed è dunque nostro dovere ringraziarti».
Il Pokémon fece un gesto di assenso e si voltò. Non poteva andarsene senza avvisare i suoi genitori. Quindi arrancò verso la sua dimora.
Arrivato, trovò sua madre fuori casa con uno sguardo piuttosto preoccupato. Non appena lo vide, però, Mamma Pelipper afferrò un'espressione corrucciata e gli corse incontro. Pelipper capì che stavolta sarebbe stato difficile dialogare, ma la attese fermo, in mezzo al viottolo. Si accorse di quanto fosse tesa la madre solo quando gli fu abbastanza vicina per parlarle.
«Allora? Sentiamo, Pelipper, dove sei stato? Ti avevo ordinato di tornare almeno un'ora fa. Tuo padre è venuto a cercarti, non ti ha trovato, ci siamo spaventati a morte, pensavamo che ti fossi smarrito e...»
«Mamma, è stato...»
«Non voglio sentire scuse! Scommetto che sei stato nell'acqua a divertirti tutto il tempo. Quante volte ti avrò ripetuto che è pericoloso restare...»
Pelipper non aveva mai visto sua madre più sconvolta. Le si vedeva il petto contrarsi rapidamente, gli occhi vitrei e lucidi, la faccia gonfia e scarlatta. Decise che era un pessimo momento per ribattere, quindi le rispose, dolcemente: «Mamma, fammi spiegare». Lei ci pensò su un momento, poi si zittì, e lo guardò intensamente. «D'accordo» disse.
Il pellicano prese fiato e cominciò a narrarle tutti i fatti, partendo però dall'incontro con il piccolo, evitando accuratamente di farle sapere cosa aveva fatto ai ragazzi. Probabilmente non gli avrebbe nemmeno creduto.
Durante il racconto sua madre divenne sempre più premurosa, abbandonando la faccia triste a poco a poco, finché Pelipper non arrivò al discorso della donna. Allora gli occhi di Mamma Pelipper s’intenerirono, e disse: «È giusto che tu abbia un Allenatore che ti voglia bene, e sono sicuro che questo Lorenzo, guidato dal suo sentimento di riconoscenza nei tuoi confronti, lo sarà. Non preoccuparti per me, ci sarà sempre babbo a farmi compagnia».
«Ma io…io ti voglio tanto bene, mamma» pronunciò il piccolo Pokémon, sporcandosi la faccia di calde lacrime, ma la mamma, premurosa, continuò: «Non ci sono storie. Io so che tu mi vuoi bene, ma devi farmi vedere quanto sei in gamba. So che ne sei capace, e che Lorenzo avrà un valido compagno per tutta la vita. Vai, e vivi un’avventura magnifica…quella dell’amicizia» concluse. «Grazie mamma, non ti dimenticherò mai, e ti prometto che ti verrò a trovare ogni due settimane…».
Sua madre lo abbracciò forte, lo baciò sulla fronte e chiamò il marito. Egli, dopo aver avuto spiegazioni dell’accaduto, annuì dicendo che la mamma aveva ragione e che non avrebbe fatto un torto a nessuno. Pelipper allora, sempre piangendo a dirotto, si volse verso la porta e la spinse, girandosi e salutando a gran voce i suoi genitori…
Immerso nei ricordi del passato, il pellicano non si era accorto che dalla porta di camera sua era entrato Lorenzo. Il Pokémon si voltò e corse verso di lui, ringraziandolo per la lettera. Percependo la natura intorno a lui che si svegliava completamente, abbracciò il suo Allenatore, e insieme si diressero verso la sala principale per andare a metter qualcosa sotto i denti.
2 ° CAPITOLO: Il bosco oscuro
Molto lontano dalla casa dei nostri personaggi, la notte incombeva ancora nel paesaggio. Alberi spogli, mossi lentamente da leggeri soffi di vento misteriosi, mentre la voce solitaria di una civetta dominava la scena. Il buio era molto penetrante, e faceva somigliare gli alberi a perpetue statue magiche e misteriose. Ogni tanto una foglia si levava dal terreno e andava a scontrarsi con la dura corteccia delle piante. L’ambiente era morto, a parte qualche movimento istantaneo di un animaletto sotto il fruscio delle foglie.
Ma qualcosa si agitava nella penombra. Un essere camminava, il volto nascosto dall’assenza di luce. Emanava un’aura di potenza e teneva in una mano un piccolo sacchetto, mentre l’altra era posata vicino ad un fodero riccamente decorato e lavorato. Il Pokémon, di un colore verde sfumato dall’oscurità, procedeva prudentemente e lentamente, pronto a percepire un qualsiasi movimento losco. Poi si fermò. C’era qualcosa di strano in quell’individuo, che lo rendeva particolarmente fuori dal comune e sospetto. Stava stringendo checché ci fosse nel fodero, pronto ad estrarlo in qualsiasi evenienza. Ma non sembrava che ce ne fosse bisogno. Il paesaggio era immutato, terribile e placido come prima.
Però, tutto ad un tratto, da dietro un albero uscirono tre Pokémon scuri in faccia, che brandivano lunghe spade affilate, tranne uno. Era senz’altro il più affascinante, ed emanava una forte aura di potere. Era di un colore blu intenso, come il palmo della sua mano, che luccicava riscaldando l’atmosfera. Poi comparvero altri di quegli scagnozzi più piccoli, ma che parevano essere tutt’altro che innocui. In tutto dovevano essere una decina.
Dopo questa apparizione, l’essere color verde estrasse la sua arma a una velocità incredibile con la mano destra, mentre alzava l’altra facendola luccicare. Subito avanzò e cercò di colpire alcuni scagnozzi, mirando agli stinchi, ma loro pararono il colpo sincronizzando l’azione di tre spade assieme, con una coordinazione inaudita. Con una smorfia, il capo degli assalitori mosse il braccio verso di lui mormorando parole a bassa voce. Subito ne uscì una lingua di fuoco, diretta verso il Pokémon rivale. Ma esso scosse il suo palmo pigramente, creando una cristallina barriera d’acqua, grazie alla quale si difese. Altri scagnozzi provarono ad attaccarlo, ma senza considerevoli risultati, dal momento che con grazia saltava tutti i colpi, o li parava con la propria spada. Poi provò a colpirli con la magia, evocando un globo di sostanza liquida diretto verso gli scagnozzi, ma il Pokémon comandante si mosse con una rapidità inaudita, indicando con due dita uno spazio vuoto davanti ai suoi aiutanti. L’acqua emessa dall’essere verde vi andò a sbattere, come se l’aria fosse diventata improvvisamente solida. Fu allora che sette delle dieci piccole creature affondarono altri colpi, e la vittima cercò di pararli ruotando il fendente. La mossa ebbe effetto, ma da dietro spuntarono gli altri tre che l’attaccarono alle spalle, costringendo il Pokémon a voltarsi. Esso non lo fece, ma anzi alzò di nuovo il palmo brillante evocando dietro di lui uno specchio di fuoco all’ultimo istante. Due scagnozzi vi passarono attraverso e ne uscirono morti, con i corpi bruciati totalmente e le armi a terra, mentre il terzo lo saltò agilmente e riuscì a colpire l’essere verde incidendogli la scapola. Il Pokémon emise un gemito soffocato, poi si voltò con rabbia e mozzò la testa al suo aggressore.
Il Pokémon più grande alzò entrambe le mani, evocando scintille di fuoco e di fulmine, e le lanciò un po’ per volta verso il Pokémon verde, che ne schivò talune e ne deviò altre verso gli scagnozzi (ferendone tre), ma l’attacco ebbe comunque effetto su di lui, poiché alcuni dei minuti lampi lo colpirono nei punti più difficili da proteggere, come i piedi o i fianchi.
L’essere verde, benché dolorante, non s’arrese e continuò a lottare, tenendo legato ben stretto il suo piccolo involto alla vita. Ma presto cominciò a cedere, sotto i duri colpi degli scagnozzi, e degli affronti magici del loro generale. E’ vero, riusciva sempre ad evitarli o pararli, sia con la magia che con le doti atletiche, ma ciò chiaramente non bastava a fronteggiare sei avversari. Cinque dei piccoli esserini erano già a terra, incapaci di reagire, ma stranamente questo non faceva infuriare il generale, che continuava ad attaccare frequentemente. Ma c’era qualcosa di strano in quel duello. Il Pokémon attaccato dubitava che i suoi avversari stessero colpendo con tutte le loro forze; forse non lo volevano morto. Oppure sì; il contenuto del suo sacchettino era di estrema importanza, e sarebbe stato terribile per il suo popolo perderlo. Così si decise.
Con alquanto rimorso, fece un’incredibile capriola in volo all’indietro, nel tentativo di allontanarsi dai suoi aggressori. Alzò il braccio, tutto tremante. Rinunciare alla propria vita era davvero difficile. Ma doveva farlo per i suoi compagni e per il bene del mondo. Quindi indicò il fagottino con la mano, mentre i suoi nemici si avvicinavano increduli, lentamente. Il comandante degli assalitori cominciò a correre, nel tentativo di fermare il Pokémon. Ma non servì; esso aveva ormai capito che lo volevano vivo per estrargli i segreti del suo popolo. Non l’avrebbe fatto.
Chiuse gli occhi e urlò, nello stesso istante che il nemico lo sfiorava con il palmo.
«Che la luce lo trasporti lontano da qui».
Il sacchettino iniziò immediatamente a brillare, emanando un’intensa luce dorata.
L’essere color verde si accasciò al suolo, privo di forze. Trasportare il fagotto lontano aveva consumato tutte le sue energie, poiché era una delle magie più impegnative. Il nemico lo fissava, ansante. Aveva fallito la missione. Avrebbe dovuto prenderlo vivo, insieme al contenuto di quel misterioso sacchetto, per portarlo al Capo. Rassegnato, estrasse la sua spada e la conficcò nel corpo della vittima, anche se era già stato privato della forza vitale; dopo se ne andò, insieme ai pochi scagnozzi superstiti che lo guardavano intimoriti e piuttosto spaventati, mentre portavano sulle spalle i compagni inerti.
La natura, con il monotono soffiare del vento, era rimasta inflessibile di fronte al tragico evento di così tante morti. Solo un gruppo di civette, appollaiato su un albero, rendeva omaggio al corpo della vittima. Un Kirlia, uno dei più belli che fossero mai vissuti, giaceva sul freddo terreno dell’oscuro bosco.
3° CAPITOLO: Una misteriosa pietra azzurra
Lorenzo aveva appena consumato la sua colazione insieme al tenero pellicano: latte caldo con un paio di biscotti, il tutto ornato da una coltre di polvere cioccolatosa. Pelipper, invece, si era accontentato di un po' di frutta. Si avviarono in camera loro e, dopo essersi preparati adeguatamente (Lorenzo aveva indossato i nuovi jeans regalatagli dal Pokémon per l'anniversario, di un blu acceso), i due uscirono di casa, sbattendo forte il portone, cosa che a dir la verità fece loro meritare una sgridata da parte della mamma. Pelipper si diresse verso la casa del suo amico Bulbasaur, mentre Lorenzo s'incamminò verso il centro della cittadina, chiamata Timerlìn.
? ? ?
In una piccola capanna, alla periferia del borgo, un Pokémon smilzo si muoveva con destrezza, teso. La luce fioca, che filtrava da una finestrina malconcia, gli illuminava le gambe sottili e nere. Camminava su e giù per l'abitazione, aspettando qualcosa. Poi guardò il vecchio orologio appeso alla parete. Erano ancora le otto. Deluso, si voltò dall'altra porta ed entrò in una stanza vicina. Era molto piccola e polverosa, ed era presente solo un vecchio armadio con numerose crepe ed un letto, bruciacchiato qua e là. Ma non era solo: lì altri due esseri confabulavano sotto voce. Allora il Pokémon smilzo parlò.
«Sono ancora le otto. Tra poco meno di dodici ore dovremo agire».
«Quindi cosa dovremmo fare noi?» chiese uno dei due, improvvisamente vigile. «Sei sicuro di riuscire a sconfiggerlo da solo? Il Capo ha detto espressivamente di prenderlo, anche con la violenza, e di portarlo al suo cospetto. Se anche il Capo è interessato, significa che è un Pokémon estremamente dotato e pericoloso, no?».
«Potrebbe» rispose una voce più grave, che sembrava provenire da un angolo della stanzetta. «Ma Lui ha detto che c'entrava una pietra...l'ho sentito parlarne con un suo stretto collaboratore. A quanto pare, questa pietra è in grado di conferire particolari poteri a chi la trova e la tiene...».
«Vedo, caro Kadabra, che non hai ancora capito tutto» intervenne il Pokémon esile. «La Pietra del Potere è un oggetto di un'innaturale potenza, capace, come hai giustamente affermato, di rendere qualcuno incredibilmente potente, sia dal punto dei poteri magici che da quello dell'agilità e la forza. Ma vedi, può essere toccata solo da un prescelto, non possono farci niente gli altri. Solo il Pokémon, o l'umano, che ha il centro del cuore di quello stesso, preciso colore può trarne quei benefici; e quel Pokémon non l'ha ancora trovata, e questo gioca a nostro vantaggio». I due compagni rimasero esterrefatti a quella notizia.
«Ma come fai...» accennò colui che si faceva chiamare Kadabra, ma fu interrotto quasi immediatamente da un grido di un bambino proveniente da un luogo vicino al loro nascondiglio.
«Zitto» intervenne l'essere magrolino «Dobbiamo agire al più presto. Nessuno deve sapere cosa è successo, e che tre creature come noi si sono intrufolati all'interno di questo villaggio, Timerlìn, con la forza. Questa casa dovrebbe essere abbandonata, ricordi? Bene, questo è il piano del Capo: io devo andare, al calar del sole, a visitare l'abitazione del prescelto, come faccio a sapere quale sono affari miei» disse vedendo che l'amico di Kadabra stava per chiedergli proprio quello «Mentre è il tuo compito, Taillow, quello di andare alla ricerca della pietra e impedire che chiunque s'avvicini la prenda. Sii rapido, altrimenti arriveranno prima loro» disse, rivolto al Pokémon vicino Kadabra, indicando con un dito il centro di Timerlìn.
«E io?» chiese Kadabra «Qual è la mia missione?».
«Tu dovrai semplicemente restare qui, scacciando i curiosi paesani che vengono a disturbare. Non so come, inventa tu un modo per farlo» rispose, vedendo il compagno pieno di dubbi, e anche un po' irritato.
«Ma come? Io devo restare qui a non fare nulla, mentre voi ve la spassate a seminare terrore tra gli altri, sapendo che nessuno potrà ostacolarvi?».
«Sì, e sei tu che ti devi assumere questa responsabilità, sei il più versato nelle arti magiche e sei in grado, in qualche modo, di fermare i ficcanaso. Dammi qualcun altro che è in grado di farlo, su» aggiunse, vedendolo sbuffare; poi continuò: «Devo forse farlo io? Devo dunque uccidere tutte queste persone e farlo passare per un incidente? E credi che sia possibile? La gente si avvicina ad una misteriosa casa e non torna più...certo, chiunque penserebbe che si tratti di un incidente».
Kadabra non colse il sarcasmo; era troppo impegnato a riflettere su chi lo avrebbe potuto sostituirlo. «E Taillow? Perché non può farlo lui al posto mio? Io sono, come hai confermato, assai dotato dal punto di vista della magia. Potrei trovare facilmente la Pietra, od ostacolare chi cerca di impossessarsene, senza dar loro tempo di accorgersi di chi sia stato».
«Ah, e se giunge qualcuno al nostro nascondiglio, che importa, si accorgerà solamente che c'è stato un omicidio e della presenza di Pokémon, assenti in quel momento. Roba di scarsa importanza, vero? L'essenziale è divertirsi a sparare qua e là colpi magici contro dei poveri sfortunati. Oppure credi forse che Taillow possa fermare un gruppo di persone o Pokémon senza farsi vedere? Potrebbe colpire anche più velocemente possibile, in modo che nessuno lo veda, ma che strano vedere due o tre esseri cadere improvvisamente al suolo, senza che nessuno li abbia nemmeno sfiorati».
Questa volta Kadabra, rassegnato, colse però la nota divertita del compagno, cosa che lo fece irritare. Il suo corpo giallo fu scosso da un impulso di rabbia, ma il Pokémon non si sfogò con nessuno, limitandosi a fare smorfie e sbuffi, che i due soci fecero finta di non sentire. Si immerse nuovamente in una fitta conversazione con Taillow, mentre il Pokémon magro se ne andava verso la porta aperta.
? ? ?
Pelipper stava guardando sparire il suo Allenatore, riuscendo tuttavia a riconoscerlo in mezzo alla calca. Aveva le gambe lunghe, forse un po' sproporzionate in confronto al busto, ed era molto alto. I capelli castani non avevano una pettinatura ben definita, poiché Lorenzo non degnava loro molta attenzione. Amava vestire comodo, con maglie a maniche corte e jeans, come quelle che indossava in quel momento.
Il pellicano decise di andare a trovare i suoi amici, per poi andare a fare una girata nel bosco di Timerlìn insieme a loro. A meno che non sbagliasse di grosso, Treecko doveva già essere a casa di Bulbasaur, quindi si diresse rapidamente verso l'abitazione dell'amico. Durante il viaggio, incontrò un certo Torkoal, un Pokémon molto anziano e saggio che, come gli aveva comunicato, sarebbe stato il suo insegnante di lì a poco tempo. Nonostante le insistenze di Pelipper, si rifiutò di fornire notizie riguardo i corsi d'apprendimento. «Resterà una sorpresa fino a domani, ne sono sicuro» pensò il pellicano, un po' deluso.
Pochi minuti dopo, Pelipper giunse finalmente alla sua destinazione. La casa di Bulbasaur era, in realtà, una graziosa capanna in mezzo a due alberi giganteschi, piena di finestre. Aveva un solo piano, ma era molto estesa e occupava uno spazio grande il doppio delle altre abitazioni. Il pellicano bussò, e nel giro di pochi istanti un Pokémon con uno smagliante sorriso stampato in faccia venne ad aprire.
Bulbasaur aveva la vaga forma di un piccolo dinosauro, con il corpo verde acquamarina e con sopra un magnifico bulbo di una tonalità verde scura. Sul suo corpo c'erano qua e là delle macchie più fosche. Il tutto era in contrasto con il brillante rosso degli occhi.
«Pelipper! Vieni, accomodati, Treecko è qui già da un po'». Scorse l'altro amico poco lontano, seduto su una sedia, intento a fissare divertito una mosca mezza matta che vagabondava sbattendo contro il muro.
«Ciao Pelipper!» rispose al richiamo dell'amico, e velocemente si alzò per andare ad abbracciarlo.
«Che gioia rivedervi, amici!» disse il pellicano entusiasta, di fronte ai due Pokémon. Dopo essersi accomodato ad un tavolo in compagnia dei due, Pelipper raccontò loro gli avvenimenti recenti, compreso l'incontro con Torkoal.
«Caspita, deve essere molto anziano» rispose eccitato Treecko. Era un Pokémon magrissimo, tutto verde tranne l'addome, che era di un color rosso vivo, ed aveva la vaga forma di un geco giapponese, con gli occhi di un giallo intenso. La sua coda era molto lunga e forte. Inoltre, la sua agilità era sorprendente: ogni volta che parlava con gioia ed esuberanza, saltando sul posto, gli arti si muovevano a velocità esilarante, secondo il pellicano.
«E anche assai saggio. In tutti quegli anni, avrà avuto tempo di imparare qualcosa, no?» aggiunse Bulbasaur, anch'egli euforico.
«Secondo voi cosa ci insegnerà?» sentenziarono all'unisono i tre Pokémon. Risero per la coincidenza, poi s'immersero in un'animata discussione, mentre le porte si spalancarono e fecero il loro ingresso due giovani ragazzi.
A parere di Pelipper, erano identici, o almeno si somigliavano enormemente. Erano forti di corporatura, avevano entrambi occhi di un verde magnifico e una statura nella media.
«Ciao Andrea!» salutò Bulbasaur.
«Buongiorno» rispose. «Bella giornata per farvi un giretto nel bosco, vero? Fate attenzione a non perdervi, voi tre».
«Tranquillo, siamo in tre, cosa vuoi che ci succeda?»
«Tenete comunque gli occhi aperti» concluse Alessio, l'altro ragazzo. I due erano gemelli, abitavano vicini e dovevano avere sui tredici anni. Andrea doveva trattarsi dell'Allenatore del piccolo dinosauro, mentre Alessio era il compagno del geco.
«Va', preparo qualcosa mentre aspettiamo, una tazza di latte può andar bene a tutti?» chiese Andrea.
Tutti annuirono energicamente.
«Lascia che ti dia una mano, Andrea» disse il gemello.
«No, grazie, sistemati pure a tavola, oggi siete miei ospiti».
Alessio si sedette e cominciò a dialogare con Pelipper, mentre gli altri due Pokémon erano intenti a giocare a scacchi. Mentre un coraggioso pedone faceva fuori la regina avversaria, Alessio interruppe la conversazione e prese a lamentarsi del ritardo di Lorenzo.
«Ma perché non arriva? Doveva essere qui già da dieci minuti».
«Avrà avuto da fare» commentò Andrea, mentre serviva il latte caldo a tutti. Pelipper controllò l'orologio appeso alla parete. Era un antico orologio dorato che Andrea, come aveva raccontato lo scorso anno, aveva ritrovato vicino all'entrata del bosco di Timerlìn, e al momento segnava le nove meno cinque.
«Tra poco dovremmo uscire, e lui...».
Ma ad un certo punto si sentì un tonfo alla porta, e Andrea si apprestò ad aprire. Sulla soglia c'era Lorenzo, ansimante. Sembrava che avesse fatto una lunga corsa per arrivare.
«Perché ci hai messo così tanto? Dove sei stato?» chiese Alessio con sguardo indagatore. Lorenzo fece un sospiro. «Ero andato in città per fare un giro, dove ho ritrovato un vecchio amico. Così ho accettato di venire un momento a casa sua, e siamo partiti senza ulteriori attese. Ma, vicini alla meta, siamo passati a lato di una vecchia dimora abbandonata, e ho sentito voci strane...pensavo fosse la mia immaginazione» disse il ragazzo turbato. «Però dopo ho visto il mio amico con gli occhi sgranati, spaventato. Quelle voci erano terrificanti, piene di rabbia. Non credo di aver sentito bene, ma pareva che progettassero di uccidere qualcuno...e parlavano di una strana pietra...». Fece una pausa, poi riprese: «Ero terrorizzato, mi guardai intorno. Non c'era nessuno, il mio compagno doveva essere fuggito. Io ho aspettato; sentivo che fosse un mio dovere restare e capire cosa avevano in mente quei pazzi...ma quando ho percepito uno di loro venire verso di me, sono immediatamente scappato, e mi ci è voluto un po' per ritrovare la strada e giungere qui». Poi si accasciò su una sedia. Pelipper gli passò il latte ancora bollente, e lui lo inghiottì tutto in un sorso. «Io vi consiglio di stare all'erta. Qualcuno di noi potrebbe essere la vittima di quelli lì, non lo sappiamo. Non è gente normale. La casa doveva essere disabitata, ricordi? E qualcuno la usa come rifugio segreto. È tutto molto sospetto, non credete?». Poi si rivolse ai gemelli: «Se volete andate da soli, io vi raggiungerò tra un'ora, ho bisogno di riposo». E si diresse lentamente verso la camera maggiore.
Tutti, ragazzi e Pokémon, erano rimasti esterrefatti a quella notizia. Pelipper era rimasto semplicemente ammutolito; gli altri sembravano piuttosto sorpresi, e sulla casa piombò improvvisamente un velo di paura.
«Io non mi fermerò, la nostra scampagnata non andrà a farsi friggere solamente per dei pazzi. Se li incontriamo, cosa che è comunque poco probabile, siamo in tre, no? Li stenderemo, e chiameremo le Forze dell'Ordine» sentenziò deciso Treecko. Bulbasaur sembrava di tutt'altra idea.
«Io credo che sia meglio mandare subito a controllare quella casa. Potrebbero essere molto pericolosi. Ti ricordo che non ce n'è uno solo di quelli là, ma erano diversi. Potrebbero essere una decina, cosi come tre. Non lo sappiamo».
«Allora, cosa facciamo? Chiamiamo le guardie di Timerlìn? E se non ci credessero, se lo ritenessero uno stupido scherzo?» propose il pellicano.
«Io sono d'accordo con Pelipper» intervenne Alessio. «Delle persone fuori dal comune dovrebbero essere segnalate. Ma» continuò, vedendo Treecko imbronciato «Ce ne occuperemo io e mio fratello, mentre aspettiamo che Lorenzo si riprenda. Voi siete liberi di fare tutto come da programma».
«Allora, cosa aspettiamo?» pronunciò euforico il geco, perdendo lo sguardo corrucciato. Gli altri due Pokémon annuirono.
? ? ?
Circa quindici minuti dopo si trovavano di fronte all'entrata del bosco di Timerlìn. Bulbasaur annusava l'aria, felice. Era da tanto che non ci venivano. Treecko pareva ancora più eccitato: saltellava qua e là, arrampicandosi sugli alberi vicini. Talvolta vedeva qualche lepre, e si divertiva a inseguirla. Pelipper, invece, pensava allo stato di salute del suo Allenatore. Quella preoccupazione lo attanagliava, insieme al timore per quegli sconosciuti. Qualcosa dentro di sé gli faceva presupporre che andavano tenuti d'occhio.
«Comunque» pensava «Andrea e Alessio se ne occuperanno. Ho fiducia in loro, so che convinceranno i guardiani ad intervenire. Godiamoci questa bella giornata di sole». In realtà, moriva dalla voglia di confidarsi con i suoi migliori amici, ma viste le loro espressioni gioiose concluse che sarebbe stata l'idea migliore lasciarli in pace. Così fiutò l'aria e si guardò intorno, cercando un laghetto in cui tuffarsi e nuotare un po'. Rassegnato dopo la fallita ricerca, passò in rassegna il territorio con gli occhi e vide una grossa pietra grigia in un angolo. Improvvisamente gli tornò in mente un vecchio gioco, che avevano fatto tutte le volte che erano venuti in quel bosco, e disse ai due Pokémon vicini: «Ragazzi, vi ricordate il gioco del sasso più grande? Perché non lo facciamo, così, per rompere il ghiaccio?». Bulbasaur stava per controbattere, ma Treecko lo interruppe: «È un'idea magnifica! Forza, cominciamo a giocare!»
«Io ritengo che sia pericoloso farlo; vi ricordate che ci sono dei pazzi assassini in giro?»
«Ascolta» rispose il geco «Io non ho nemmeno un briciolo di paura. Non perché sottovaluto questi briganti, ma il fatto è che, come ci ha riferito il suo Allenatore» e indicò Pelipper «quelli là non sono persone normali. Potrebbero essere dei malati di mente, che girano come vagabondi, seminando il panico fra la gente. Secondo me, non c'è motivo di preoccuparsi».
La decisione con cui Treecko pronunciò queste parole fu sufficiente a imprimere un po' di sicurezza nei due compagni.
I tre Pokémon si avventurarono nell'interno del bosco. Erano meravigliati da com'era cambiato dall'ultima volta: c'erano molti più alberi caduti, i ruscelli erano notevolmente diminuiti e gli arbusti avevano preso il sopravvento su ogni altra cosa. Inoltre, non si vedeva quasi nessun animale, tranne qualche coniglietto, alcuni passerotti e gli abitanti delle piante, come gli scoiattoli. Tutta la fauna dello scorso anno era misteriosamente scomparsa. Pelipper rifletté; tutto ciò era molto strano. Di solito quel luogo pullulava di animali e di Pokémon selvatici, come Weedle e Caterpie, simili a vermiciattoli, ed esemplari di Butterfree, Beautifly, Dustox, Pokémon che somigliavano a farfalle; invece non c'era traccia di loro. Eppure lì non veniva quasi mai nessuno a disturbare: possibile che se ne fossero andati tutti?
«No» pensava Pelipper «Non hanno abbandonato questo posto per nulla. Deve essere accaduto qualcosa». Si guardò intorno, sperando di cogliere qualche ispirazione, ma invano. Avrebbe ottenuto lo stesso risultato anche guardando in una valigia vuota. Cercava di riflettere, ma non riusciva proprio a trovare nulla che spiegasse quell'insolito fenomeno. Inoltre, le grida selvagge di Treecko lo distraevano, costringendolo a voltarsi per vedere l'amico che sfrecciava rapido da un albero all'altro rincorrendo uno scoiattolo. Quando riuscì finalmente a catturarlo, lo spaventò un po' e poi lo lasciò andare. Soddisfatto, si gettò tra le fronde e sparì. Bulbasaur camminava felice cercando bacche e frutti di bosco, e a quanto pareva era riuscito a trovarne in buona quantità, viste le guance rigonfie. Sorridendo, Pelipper si offrì di aiutarlo, sperando che questo incarico lo distogliesse dalle molteplici preoccupazioni. Mentre gustava una castagna particolarmente saporita, udì un tonfo proveniente dalla zona dove stava il geco. Ma non si sentiva chiamare nessuno. Pelipper si voltò e si avvicinò, con Bulbasaur al suo fianco. Giunti all'albero dove Treecko era salito, si guardarono e rimasero a bocca aperta.
Una pietra scintillante, che emanava una luce potente, stava sopra ad un ammasso di aghi di pino. Treecko era seduto poco lontano, abbagliato dallo splendore di quel bagliore. La pietra era di un colore fuori dal comune. Era azzurra, ma di un azzurro mai visto prima. Scintillava e brillava alla luce del sole, e pareva che in quell'azzurro intenso, profondo, si celasse una vita. Quella pietra non sembrava affatto un minerale, ma piuttosto un minuto cuore. Dentro ad essa scorreva un piccolo ruscello limpidissimo, ornato ai lati da luci intente a svolazzare. Era senz’altro un oggetto unico, di inestimabile valore, ma qualcosa suggeriva di non provare nemmeno a toccarlo.
Dopo un po' i tre Pokémon si ripresero, e notarono che lì vicino c'era anche un sacchettino vuoto, incredibilmente ricamato, che avrebbe potuto benissimo contenere la roccia splendente. Abituatisi alla vista celestiale, si allontanarono un poco per discutere di quell'incredibile fatto.
«Ma cos'è? E come è capitata qui? Chi ce l'avrà lasciata?» iniziò Treecko.
«Certamente non è stato un poveraccio» scherzò Bulbasaur.
«No, suppongo di no. Ma l'avete vista? Non sembrava affatto una pietra»
«No» intervenne il piccolo dinosauro.
«E» proseguì il geco «Vi immaginate quanti soldi potremmo ricavare vendendola? Ma non ci tengo a prenderla, non proprio. Sembra dotata di una mente propria. Se s'accorgesse che qualcuno sta cercando di rubarla, a occhio e croce direi che minimo lo scaraventerebbe via. E poi sembra un oggetto magico, non trovate? Quel suo colore...»
«Io la lascio lì» tagliò corto Bulbasaur. «È evidente che non va raccolta. Potrebbe essere una trappola di quegli assassini». Poi, vedendo il geco con gli occhi sgranati, proseguì: «Non ci avevi pensato, vero? Qualcosa di così raffinato, che cade curiosamente dove siamo noi. Non vi sembra una coincidenza? Secondo me quella roba è stregata, è una trappola. E poi, nonostante sia così bella, in qualche modo non mi attira. Inoltre mi sembrerebbe un insulto a qualcuno raccoglierla, anche se non so perché. Anche a voi dà la stessa impressione, giusto?»
«Sì» rispose Treecko.
«No».
Per la prima volta fu Pelipper a parlare. Sudava un po', e sembrava fuori di sé. «No, per niente. A me pare che sia una parte del mio corpo, che avevo perduto e che adesso ho ritrovato. Non so...qualcosa dentro di me mi dice che devo prenderla, devo impossessarmene. Insomma, il mio cuore dice...dice che mi appartiene».
I due compagni rimasero esterrefatti: il loro amico non aveva mai parlato in quel modo, con quella convinzione. Era spaventoso, e se Treecko e Bulbasaur non l'avessero conosciuto sarebbero fuggiti a gambe levate davanti a un simile atteggiamento. Eppure il piccolo dinosauro era scettico. «Mi sa che qui non siamo soli. Tieni gli occhi aperti, Treecko. Hanno già incantato Pelipper, non escluderei che ci provassero anche con noi» disse, con una feroce determinazione in faccia.
«Ma cosa st...»
«Zitto» lo interruppe «Non vedi il nostro amico? È fuori di sé. Vado a chiamarlo; tu sta' lì fermo, occhi aperti»
Camminò un poco verso il pellicano, poi gli sussurrò all'orecchio: «Pelipper! Pelipper, vieni qua, cosa stai facendo?»
«Tranquillo» disse improvvisamente il Pokémon, recuperando il comportamento normale. «Non mi è successo nulla. Non sono pazzo. Ora allontanatevi, e non temete. So per certo che non mi accadrà nulla di male. Mai sono stato così sicuro di una cosa». Poi rise: «In realtà è la prima supposizione sicura di tutta la mia vita». Bulbasaur sembrò rassicurato, e fece come l'amico gli aveva appena detto. Poi Pelipper si avvicinò alla pietra. Solo allora notò taluni particolari che in precedenza aveva trascurato.
Intorno alla roccia stava un sottilissimo filo di un materiale ignoto: sembrava più che altro luce liquida, anche se non poteva certamente trattarsi di quello. Dentro la pietra, invece, affioravano nuovi dettagli che rendevano il paesaggio realistico: il fiume dondolava dolcemente, trasportando foglie cadute dall'albero sulla riva, grande e possente. In cielo svolazzavano uccellini, e alcuni cinguettavano lievemente; vicino, infine, stava un mulino a vento le cui pale giravano lentamente, mosse dall'armonioso vento. Avanzando, però, il paesaggio scompariva gradualmente; quando il Pokémon fu a una decina di centimetri dal filo magico, il panorama scomparve del tutto e una nuova figura affiorò. Un pellicano, con il becco giallo, corpo bianco e le estremità degli arti azzurre, apparve improvvisamente. Pelipper si incantò a fissare la propria immagine riflessa, deliziato. Poi si girò verso i suoi due compagni, che lo fissavano come se da un momento all'altro qualcuno lo dovesse aggredire. «Amici, venite a vedere! Se vi avvicinate, vedrete la raffigurazione di me stesso sulla superficie di questo strano sasso azzurro. Dai, venite!» disse.
Con lo sguardo di qualcuno che avrebbe fatto qualsiasi cosa pur di rifiutare l'offerta, Treecko e Bulbasaur si avviarono alla volta dell'amico; nel primo sembrava però essere maturata un po' di curiosità, mentre il secondo aveva ancora lo sguardo preoccupato e diffidente di prima. Giunti però al fianco di Pelipper, non accadde loro nulla di strano. «Ma cosa stai dicendo? Io vedo solo un paesaggio. Non sarà mica una tua allucinaz...aaahhhhhh!» strillò Bulbasaur. Infatti, improvvisamente l'anello di luce liquida si dilatò, lanciando i due Pokémon lontani. Con un tonfo, Bulbasaur e Treecko sbatterono contro un albero, mentre Pelipper li guardava, curioso.
«Ma per quale motivo...cioè, io...». Non riusciva a spiegarlo. Deglutì. «Io...perché non mi ha spedito lontano, come voi?». La sensazione che quel misterioso oggetto gli appartenesse ormai lo dominava, bruciava come una fiamma eterna, accesa nel suo cuore. Sapeva cosa fare. Lentamente, chiuse gli occhi, alzò il piede e attraversò l'anello. Provò una sensazione di freschezza rilassante; poi si voltò per parlare ai suoi amici, ma in quel momento l'anello s'ispessì e andò a formare un'enorme sfera di cristallo, che rinchiuse Pelipper, insieme alla pietra. Il Pokémon non udiva più nulla; era piombato in un silenzio innaturale: niente cinguettii, niente fruscii; insomma, nulla di nulla, come un morto. Ma non era preoccupato; nonostante vedesse i volti sbigottiti e agitati dei suoi amici, malgrado si rendesse conto che era bloccato, con intorno quella parete cristallina splendente, non avvertiva la minima idea di provare a fuggire. Sentiva che quel momento era già stato deciso da tempo, che era stato scritto molto tempo fa nel suo destino. Per la seconda volta, nutriva una profonda sicurezza in ciò che faceva.
Provò a parlare, a dire ai suoi amici di stare calmo, ma inaspettatamente si accorse che non era in grado di farlo. La mascella pareva non rispondesse più ai suoi comandi. Quindi fece l'unica cosa sensata in quel momento: cercò di prendere la pietra. Non appena mosse la zampa, però, sentì un altro movimento provenire dal cristallo: la sfera si agitò un poco, Pelipper cadde, e successivamente il globo prese a levitare, volando sempre più in alto, finché non superò le fronde degli alberi più alti del bosco. A quel punto si stabilizzò e il pellicano poté alzarsi. Aveva ricevuto un brutto colpo alla testa. Massaggiandosi il livido, allungò docilmente l'ala verso la roccia. Chiuse gli occhi, e coraggiosamente toccò la pietra.
La sensazione che provò fu indescrivibile. Pelipper iniziò a viaggiare in un vortice di luci e colori, mentre un canto soave gli riempiva le orecchie e lo calmava. Quel canto sembrava provenire dalla pietra stessa, e in qualche modo gli infondeva energia, un'energia antica, potente. Restò in quello stato per qualche decina di secondi; dopo un po', proprio quando avvertiva un eccesso di energia, e pensava di stare per esplodere da un momento all'altro, tutto finì e lui si ritrovò disteso sulla superficie della sfera di cristallo, la quale stava scendendo pacatamente a terra. A qualche metro da terra il globo s'infranse e Pelipper cadde a terra.
«PELIPPER! Pelipper! Cosa ti è successo? Rispondi!». Bulbasaur era fuori di sé, e scuoteva il pellicano cercando di parlargli. Treecko era poco più lontano, e aveva uno sguardo tremendamente agitato. «PELIPPER! Pelip...». Il dinosauro s'interruppe alla vista del movimento di un'ala dell'amico.
«Cosa è successo? Mi ha trasportato lassù e... e...».
«Ci siamo spaventati a morte! Ti dicevo di non toccarla! Che cosa ti ha fatto? Ha cercato di ferirti, oppure...».
«No». Improvvisamente si accese negli occhi di Pelipper uno sguardo intenso. «No, non era una trappola. Avevo ragione. Quella cosa mi ha infuso energia, ha risvegliato un potere antico in me. Non so come spiegarlo. Ho udito una musica leggendaria e...».
«Tranquillo, lo shock ti ha annebbiato la mente, ora ti portiamo in un luogo sicuro, così potrai riposarti e...».
«NO!». Perché non capiva? Quella pietra era destinata a lui. Non era una trappola. Perché cercava di ignorare, di non comprendere? Perché tentava di sfuggire alla verità? La rabbia lo invase, e sferrò un calcio nell'aria per sfogarsi. «Non era un inganno, Bulbasaur! Non capisci che era una cosa mia? Non te ne accorgi?». Poi pensò fra sé: «Ma come faceva ad accorgersene? Lui non aveva visto la sua immagine riflessa, non aveva udito quel canto...».
«Ascolta, in che senso ti ha dato energia, è stata una cosa positiva? Noi ti abbiamo visto volare in alto, non sentivamo nulla, e lassù ti vedevamo contorcerti...cosa avremmo dovuto pensare? Che te la spassassi?».
«Ha ragione» pensò il pellicano. «Anch'io avrei creduto la stessa cosa». Ma doveva dimostrargli che era vero. Che aveva ricevuto un dono. Così, malgrado non ne avesse la minima certezza, disse ai suoi amici: «Va bene. Adesso vi darò la prova di ciò che è successo». Come se l'avesse già preparato da sempre, pensò alla pietra che stringeva in pugno, a quello che conteneva...
Mentre i due compagni lo fissavano come se avesse perso del tutto il senno, Pelipper fece un urlo tremendo. Treecko lo contemplava allibito, certo che si trattasse di uno scherzo. Bulbasaur ormai lo riteneva pazzo.
«Zitto, se no...» cominciò il piccolo dinosauro, ma fu interrotto da uno strano gorgoglio proveniente dal pellicano.
Pelipper, nonostante avesse ancora la bocca spalancata, cessò immediatamente di gridare, e dentro di sé, al posto dell'aria, sentì un liquido. Gli amici lo scrutavano interessati e spaventati allo stesso tempo. Il pellicano non smise di stringere la pietra, e a un certo punto sentì qualcosa che gli bagnava la lingua; un istante dopo, dal becco aperto uscì un potente getto d'acqua purissima. Pochi secondi dopo cadde a terra, ansimante. Si sentiva come un atleta che aveva percorso dieci chilometri senza mai fermarsi; i polmoni erano sul punto di scoppiare a causa dell'enorme quantità d'ossigeno che si riversava nel corpo del Pokémon per recuperare le forze. «Avete...visto?».
Bulbasaur e Treecko erano rimasti semplicemente esterrefatti. Guardavano l'amico come se non credessero che fosse realmente lui, che avesse fatto qualcosa di veramente magico. Ma non trovavano nessun'altra scusa. Era troppo, e anche un po' offensivo, credere che avesse preso l'acqua da qualche parte e l'avesse emessa con tale potenza. Pelipper non poteva giungere a tal punto per dare una dimostrazione. Così si convinsero, e le due bocche si aprirono in grandi sorrisi.
«Allora è vero. Ma come è possibile? Non pensavo che la magia esistesse veramente...» esordì Treecko.
«Pure io. Ora che mi ci fai pensare, però, potrei avere letto per caso un libro che ne parla. Ma ero sicuro che fosse uno scherzo, per dare un po' di colore, sai, il tipico articolo da copertina, come quello del Pokémon posseduto dal demonio» commentò Bulbasaur.
«Be', magari esistono anche i Pokémon posseduti dal demonio» osservò ironico il geco.
«Ve lo dicevo, di fidarvi» disse Pelipper. «Ero sicuro che non fosse qualcosa di malvagio, sentivo dentro una strana impressione».
«A proposito di strane impressioni» cominciò il piccolo dinosauro, ma Treecko lo interruppe: «La prossima volta che ti succede avvertici, così ci prepareremo in anticipo». E indicò le sue gambe, bagnate fradicie dal getto d'acqua del pellicano.
«Non intendevo questo» protestò Bulbasaur con aria un po' offesa. «Stavo pensando...come ti senti adesso?»
Era una domanda curiosa, ma Pelipper parve sicuro nel rispondere.
«Mi sento incredibilmente energico, più veloce e forte di prima. E poi...credo anche di avere i sensi un poco più sviluppati. Ad esempio, da qui riesco a percepire il tremendo tanfo di Treecko» disse con aria divertita. «Ma potrei anche sbagliarmi...magari è solo quel mucchio di escrementi laggiù». E indicò un cumulo di sostanza marroncina ai piedi dell'albero su cui il geco si era arrampicato. I tre Pokémon scoppiarono a ridere. Era da tanto tempo che non lo facevano. Infatti, era la prima cosa andata a finire bene quel giorno.