Ci ritrovammo nella sala comune, ognuno stava un po’ per i fatti suoi, chi sorseggiava un succo, chi invece si dava al biliardino. D’improvviso apparve Zeno con la misteriosa scatola in mano.
Zeno spiegò che la scatola era chiusa a chiave e quest’ultima era ormai dispersa nelle mani dei traditori. Ci venne spiegato che la misteriosa organizzazione che prima deteneva la scatola non erano altri che disertori, prima appartenenti alla nostra organizzazione, che affamati di potere aveva portato all’ammutinamento.
La scatola venne affidata a Cecilia e a suo modo la rendeva il comandante in seconda. Cecilia ben sicura del compito assegnatole cominciò a pensare alla prossima missione. Richiamò gli altri a sé, che controvoglia abbandonavano le suadenti attività per dirigersi al tavolo centrale.
Cecilia aveva ben in mente cosa fare e le parole di Zeno rimbombavano nella sua testa.
“Assetati di potere, si sono ammutinati, sono dei ladri.”-pensò Cecilia.
Era abbastanza chiaro che cercare chi, come aveva detto Zeno, avrebbe potuto aprire la scatola fosse alquanto pericoloso. Potevano incappare in qualche disertore, qualcuno che dopo la loro fuga dal covo li avesse seguiti.
Al ché ebbe l’illuminazione; se solo ci fossero tante scatole, non saprebbero mai come seguire il tesoro giusto!
Propose la sua idea al gruppo e Jade intervenne – “Potremmo usare il fantastico Ditto di Gon!”.
Per quanto fosse un’ottima idea, era materialmente impossibile. Il povero Dittoh non poteva sdoppiarsi in più agglomerati di cellule, sarebbe stata davvero una tortura imporglielo.
“Mi dispiace, ma non mi sembra molto fattibile Jade”- rispose Cecilia appoggiandole una mano sulla spalla.
“Invece sì!!!”- rispose quasi urlando Gon e con uno scatto fulmineo si diresse verso gli armadietti.
Al suo ritorno portò un aggeggio parecchio osceno. Era una specie di affare che si usa per le acconciature dal parrucchiere, ma solamente portatile e più luminoso.
Poggiò il suo Dittoh sotto il casco, con uno sguardo incerto come risposta da parte di tutti.
“Vogliamo fargli una bella messa in piega?!”- sbottò divertita Kholè. Tra l’ilarità generale Gon si avvicinò a tutti, ponendo nelle loro mani un microchip.
“È ASSOLUTAMENTE NECESSARIO CHE LO TENIATE COSÌ!” - ci disse, con un tono squillante e simile a quello che si usa con i cuccioli di cane, quando vuoi insegnargli a fare la cacca al di fuori della casa.
Si diresse nuovamente da Dittoh e con una tastiera collegata al strano aggeggio cominciò a scrivere, con una velocità fulminea si può aggiungere, una sfilza di codici nel linguaggio informatico. Ad un certo punto si fermò e con uno sguardo vuoto alzò la testa. In pochi istanti cominciò a sghignazzare e diede a Dittoh l’ordine di trasformarsi nella scatola contente lo Styler. Dittoh eseguì l’ordine e d’improvviso un seguito di scatole apparvero nelle nostre mani.
Dallo spavento Cecilia fece cadere il microchip, che aveva assunto le sembianze della scatola di Zeno. Era davvero difficile distinguere il falso dall’originale.
Passarono degli istanti e ripresa la concezione degli spazi Cecilia disse di prepararsi con il necessario, poiché sarebbero partiti per la missione.
Walkietalkie, spray, coltelli e pistole erano l’armamentario dotato dall’organizzazione. Le armi però erano l’ultima spiaggia. Era stato chiaro il capo circa il loro uso e comunque Cecilia non aveva intenzione di uccidere nessuno.
Appena fuori dal covo ognuno si diresse in una direzione differente, analogamente alla prima operazione. Cecilia si incamminò con Dragonair nella pokéball. Il povero pokémon dopo il makeup mimetico non aveva più intenzione di farsi dipingere e portarlo fuori dalla pokéball con i colori vistosi che aveva era come consegnarsi nelle mani nemiche. Fu divertente vedere Dragonair rifiutarsi di uscire dall’acqua, così allietato nei vapori e nei profumi del bagno caldo che Cecilia, come premio, gli procurò dopo la missione.
Mentre camminava osservava i compagni allontanarsi ed in un certo senso era lieta di ciò.
Amava il lavoro di squadra, ma preferiva agire da sola, era più semplice prendere delle decisioni senza far torto ad altri.
Ricordava che già in precedenza in quella radura erano presenti numerose trappole, quindi doveva stare ben più attenta ora che la situazione era più tesa.
Intravide due persone, con delle vesti mimetiche. Con un gesto felino si arrampicò sull’albero vicino e passando di albero in albero cercò di avvicinarsi per origliare.
“Pazzesco, ce l’hanno fatta sotto il naso!”- disse uno dei due. Questo era basso, tarchiato, con la chierica. Se non fosse per la pelata poteva confondersi con la foresta data la sua barba folta e scura. Ma il riflesso della luce rimbalzava goliardicamente sulla testa e lo faceva sembrare una palla da bowling.
L’altro invece era secco, incredibilmente secco, e faceva sfigurare ancor di più il compare non solo per l’altezza ma anche perché aveva una cascata di capelli biondi che ricadevano ad altezza delle spalle. Erano anche abbastanza buffi da vedere, ma continuavano a rimanere dei disertori!
“Sai cosa potrebbero fare? Andare da quel tizio là strano!”- disse quello alto, che aveva una voce molto fioca che costrinse Cecilia ad abbassarsi sul ramo.
Per fortuna era molto leggera, o il ramo l’avrebbe tradita scricchiolando.
“Senti da quel tizio io non ci vado, è troppo strano. Se devono andarci, devono passare di qua per forza. È l’unico punto senza trappole.”- rispose il primo tizio.
LO SAPEVA! Era cerca che quella fosse la strada giusta; Dragonair fuori dal covo aveva assegnato le direzioni, deve aver sentito qualche cosa!
Sempre cercando di non far scricchiolare gli alberi cercò di passare lateralmente ai due tizi saltando sempre di albero in albero. Ad un certo punto, quando fu abbastanza lontana, scese dall’albero e cominciò a strisciare nella radura.
Poco lontano poteva intravedere un burrone, che dava su una magnifica vista.
“Come diavolo è possibile, non c’è nulla!”- disse Cecilia, che incredula si guardava attorno.
Aveva fatto l’unica strada possibile, lo avevano detto anche quei due… E se, fosse tutta una trappola? Se gli altri fossero stati catturati e lei fosse da sola? O peggio lei era la prima da catturare in modo da farsi dire dove fossero gli altri?
Mentre si stava angosciando con mille quesiti, Dragonair uscì dalla pokéball.
Il piccolo drago tirava per gli shorts la sua allenatrice che per risposta cominciò a spostarsi in direzione degli strattoni. Quando vide che si avvicinava al burrone ebbe un sussulto – “DRAGONAIR, PER IL GRANDE DEMONE CELESTE, SEI FORSE IMPAZZITO?”.
Il pokémon, forse spazientito dalla stupidità della sua allenatrice, si sporse con la testolina sul dirupo. Cecilia lo imitò cercando di calmarsi. La visione era incredula; poco sotto l’inizio del burrone, c’era una cavità. Con gli scarponi fece presa su dei sassi e ci entrò, seguita da Dragonair.
Si trovò in una specie di casetta, che aveva la vista sul burrone. Al suo interno uno Xatu.
Rimase un attimo sconcertata ed immobile a fissare lo Xatu, fino a quando sobbalzò al suo parlare –“Ti stavo aspettando Cecilia”.
Dragonair andò incontro allo Xatu, strusciandosi contro affettuosamente, mentre Cecilia lo fissava abbastanza sconvolta.
http://i.imgur.com/NWYmQib.png“Sono a conoscenza del tuo arrivo da molto tempo, ti aspettavo. Vuoi delle Pokémelle?”- disse lo Xatu.
“T-t-t-tu parli! ”- disse Cecilia.
« Non essere sciocca, io ti sto parlando telepaticamente »- rispose lo Xatu.
Dopo essersi ricomposta dallo shock avanzò verso il pokémon con la scatola in mano.
“Visto che sapevi del mio arrivo, sai perché sono qua. Puoi aprirla?”- disse Cecilia.
“L’ho già aperta con la telecinesi, mentre eri intontita”- rispose Xatu.
Cecilia, che mai fu così imbarazzata, ringraziò e lasciò come ringraziamento una cheesecake al cioccolato.
Mentre il pokémon era intento a mangiare si allontanò e risalì il burrone.
Dragonair sembrava divertito nell’osservare lo sguardo tutt’ora sbigottito della sua allenatrice.
“Piantala, tu sei un pokémon, non capisci come ci sono rimasta male!”- rispose Cecilia.
Dragonair si attorcigliò teneramente alla gamba di Cecilia e poi ritornò nella sua pokéball.
“Il falco ha preso il volo, mamma Cerbiatto va in letargo.”- disse al walkietalkie mentre si incamminava sulla via del ritorno, sulla strada della vittoria.