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Le campane

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Messaggio 10/11/2007, 19:40

Messaggi: 776
Località: S2

....leggete:

Il suono ovattato delle campane accarezza il villaggio.
Suonano a festa, perchè oggi è Natale.
Mi hanno raccontato che è un grande giorno, che nelle città lo attendono con ansia, perchè ci si scambiano doni, si banchetta in compagnia e si canta tutti insieme attorno ad un camino.
Deve essere bello, quanto invidio le persone che abitano lontano da qui.
Amo molto il mio luogo di nascita, ma purtroppo è stato devastato dalla guerra.
Ho visto gente squarciata dalle mine, muri sbriciolarsi sotto ai miei occhi, pianti dilaniarsi per le vie, madri soffocate dalla perdita dei figli.
Ed io correvo, correvo senza potermi fermare, per i miei campi, trascinando con me i miei fratelli.
In quei giorni, le campane non riuscivano a farsi sentire, nemmeno gridando l’allarme.
Risuonava solo il boato della guerra, ed io, per non ascoltarlo, mi nascondevo dietro al velo, quasi un tessuto trasparente potesse mascherare gli orrori commessi attorno a me.
D’inverno, quando la neve copriva tutta la terra, e il gelo rispecchiava la crudeltà umana, stringevo a me l’innocente creatura che mai avrebbe conosciuto i genitori, avvolgendola in una logora e rattoppata coperta.
Il bianco paesaggio di oggi mi rievoca questi tristi ricordi. E’ così calmo, silenzioso, irreale.
Sento dei passi: dolce sensazione, erano due anni che non riuscivo a riconoscere i rumori più semplici.
I fiocchi che cadono dal cielo attutiscono tutto, in un paesaggio fiabesco.


Come vi sembra questo testo?o.O
Accudisci le mie uova e sarai ricambiato, parola di Pika;)

Messaggio 10/11/2007, 21:23

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Località: Da casa mia (RM)
Bello :D :D :D
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Messaggio 10/11/2007, 21:26

Messaggi: 352
Molto carino, soltanto il finale mi sembra un po' "tronco".

Messaggio 10/11/2007, 21:38

Messaggi: 776
Località: S2

non è il finale, è solo l'introduzione di un racconto he devo scrivere per un concorso..mi servono opinioni sincere!!

Ecco un altro pezzo.


Io non ho freddo, ho solo del ghiaccio attorno al cuore, che tenta d’essere sciolto dal calore umano.
Camminando, ripercorro i sentieri, i viottoli, le strade che hanno percorso la mia esistenza.
Ogni sassolino che scosto è un sogno che rimbalza in mente. Tic, tic…volevi crescere felice, vero? Volevi sperare di distinguerti? Tic…volevi portare gioia nella tua famiglia, volevi crearne una tua?
Mi ricordo che l’infanzia è stato il più bel periodo della mia vita.
Passavo le giornate a giocare al sole, saltellando qua e là tra i campi di grano, ignorando i richiami di mia madre.
Disegnavo sorrisi con un bastoncino, sulla terra umida. E nuvole, e soli, e alberi, senza mai stancarmi.
Poi ho imparato a scrivere: s, a, r, a, h,…Sarah…e ridevo e chiamavo tutti i coetanei, per mostrare loro il mio capolavoro.
C’erano tutti: i miei fratelli, i miei cugini, i miei compagni di scuola. Chi avrebbe mai immaginato che di lì a poco non avrei rivisto molti di loro?
Ah, se solo potessi tornare indietro…li abbraccerei uno per volta, li stringerei talmente forte, finché il respiro non venga a mancare.
Uno in particolare mi premerebbe di salutare: si chiamava Gabriel, era il mio miglio amico. Nonostante fossimo in tenera età, in noi c’era un legame molto profondo, che ci portava a trascorrere molto tempo insieme.
La cosa che più in lui mi colpiva erano i suoi occhi: verdi e trasparenti.
Trasparenti perché, attraverso di essi, gli scoprivo l’anima in ogni suo pensiero, in ogni sua emozione.
Ultima modifica di PIKA il 11/11/2007, 7:54, modificato 1 volta in totale.
Accudisci le mie uova e sarai ricambiato, parola di Pika;)

Messaggio 11/11/2007, 7:26

Messaggi: 29
veramente bello :!:
color=#4080FF]Questa è Sparta![[/color]

Messaggio 11/11/2007, 15:14

Messaggi: 122
Località: Mantova
Testo bellissimo, complimenti sinceri. Hai uno stile che mi piace molto.

Messaggio 11/11/2007, 15:58

Messaggi: 776
Località: S2

Ho finito di stilare la prima versione...purtroppo però ho il limite di caratteri, quindi sembra mancare di logica in alcuni punti. MI sa tanto che dovrò modificare e tagliare alcune parti, per approfondirne altre e rendere tutto più chiaro e meno banale.
Il finale specialmente, l'ho abbozzato e basta, perchè è da definire, in modo da riempirlo di significato.
Comunque, ecco qua, per ora:

Il suono ovattato delle campane accarezza il villaggio.
Suonano a festa, perchè oggi è Natale.
Deve essere bello passarlo in allegria, fortunati coloro che abitano lontano da qui.
Amo molto il mio luogo di nascita, ma purtroppo è stato devastato dalla guerra.
Ho visto gente squarciata dalle mine, muri sbriciolarsi sotto ai miei occhi, pianti dilaniarsi per le vie, madri soffocate dalla perdita dei figli.
Ed io correvo, correvo senza potermi fermare, trascinando con me i miei fratelli.
In quei giorni, le campane non riuscivano a farsi sentire, nemmeno gridando l’allarme.
Risuonava solo il boato della guerra, ed io, per non ascoltarlo, mi nascondevo dietro al velo, quasi un tessuto trasparente potesse mascherare gli orrori commessi attorno a me.
D’inverno, quando la neve copriva tutta la terra, e il gelo rispecchiava la crudeltà umana, stringevo a me l’innocente creatura che mai avrebbe conosciuto i genitori, avvolgendola in una logora e rattoppata coperta.
Il bianco paesaggio di oggi mi rievoca questi tristi ricordi. E’ così calmo, silenzioso, irreale.
Sento dei passi: dolce sensazione, era un anno che non riuscivo a riconoscere i rumori più semplici.
I fiocchi che cadono dal cielo attutiscono tutto, in un paesaggio fiabesco.
Io non ho freddo, ho solo del ghiaccio attorno al cuore, che tenta d’essere sciolto dal calore umano.
Camminando, ripercorro i sentieri, i viottoli, le strade che hanno percorso la mia esistenza.
Ogni sassolino che scosto è un sogno che rimbalza in mente. Tic, tic…volevi crescere felice, vero? Volevi sperare di distinguerti? Tic…volevi portare gioia nella tua famiglia, volevi crearne una tua?
Mi ricordo che l’infanzia è stato il più bel periodo della mia vita.
Passavo le giornate a giocare al sole, saltellando qua e là tra i campi di grano, ignorando i richiami di mia madre.
Disegnavo sorrisi con un bastoncino, sulla terra umida. E nuvole, e soli, e alberi, senza mai stancarmi.
Poi ho imparato a scrivere: s, a, r, a, h…Sarah…e ridevo e chiamavo tutti, per mostrare il mio capolavoro.
C’erano tutti: i miei fratelli, i miei compagni di scuola. Chi avrebbe mai immaginato che di lì a poco non avrei rivisto molti di loro?
Ah, se solo potessi tornare indietro…li abbraccerei uno per volta, li stringerei talmente forte, finché il respiro non venga a mancare.
Uno in particolare mi premerebbe di salutare: si chiamava Gabriel, era il mio miglior amico. Nonostante fossimo in tenera età, in noi c’era un legame molto profondo, che ci portava a trascorrere molto tempo insieme.
La cosa che più in lui mi colpiva erano i suoi occhi: verdi e trasparenti.
Trasparenti perché, attraverso di essi, gli scoprivo l’anima in ogni suo pensiero, in ogni sua emozione.
Di sguardi ne ho incrociati molti, ma non dimenticherò mai il suo, intriso di terrore e sofferenza, il giorno in cui cercammo rifugio tra i muri d’una cascina abbandonata.
Il suo respiro era faticoso, il battito del cuore rimbombava nel mio petto, sordo per la paura d’essere scoperti.
Eccolo là, quell’ammasso di mattoni che resta, semiricoperto dal manto.
Perché sono venuta al mondo? Il mio scopo quale era? Fuggire dalla morte, dopo aver scoperto la vita?
Quante volte mi ripetevo queste domande…la risposta non la trovavo, eppure, continuavo a lottare.
Continuavo a scivolare sul mio cammino, senza avvertire la minima stanchezza.
Ero arrivata alla solita piazzetta, dove rannicchiata, stava una fanciulla con in grembo un cestino di rose.
Chissà dove trovava tutti quei colori, tutti quei profumi, in questo periodo così aspro per la natura.
Poco importa, era il suo lavoro, il suo unico sostentamento.
Di tanto in tanto passava qualcuno, forse per andare alla Messa, per raggiungere i familiari; la scrutava, e, aveva reazioni diverse a seconda della classe sociale alla quale apparteneva.
I ricchi sprezzavano anche solo il suo fiato, che inquinava l’aria. Alzavano la testa, la rigiravano dall’altra parte, si mostravano altezzosi.
E’ incredibile come un pugno d’oro rubi la coscienza delle persone, che non rendersi conto di essere tutti fatti della stessa sostanza, di disprezzare se stessi.
I loro figli, invece, guardavano con sorpresa ogni atteggiamento, cercando, invano, di capirne il motivo; ma i genitori proseguivano imperterriti.
Per loro la fanciulla era uguale a tutte le altre, ed era anche molto bella.
Talvolta, i più audaci si avvicinavano al cestino, cercando di meglio scorgere quelle meraviglie, tanto rare in inverno. E allora le madri, irritate, strattonavano il braccio dei ribelli, rimproverandoli.
Completamente diverso era il comportamento della gente semplice, povera, della grande maggioranza dei viandanti.
Quando incrociavano le rose, lasciavano trasparire il loro desiderio di possederne una, anche solo per pochi istanti.
Sognavano umilmente di regalarla all’amata, o di tenerla un vaso di cristallo, o di mostrarla alla mamma, chinando gli sguardi.
Pochi tra essi si avvicinavano al cestino, coglievano un fiore e mettevano i risparmi, monetina per monetina, nelle mani della ragazza, che regalava loro un sorriso pieno di gratitudine.
Dunque un sorriso costava poco; ma valeva per l’eternità.
Mi avvicino ai bordi della piazza: le mani di quella creatura si protendono verso di me, come per abbracciarmi. Mi scosto leggermente, rintanandomi nello scialle.
Mi aveva riconosciuta: lo sa ella, che ogni anno prendo il suo cestino e le lascio in cambio un sacchetto pieno di lingotti.
La vedo, che correrà verso i suoi cari, distribuirà il guadagno e condividerà tutto con le altre famiglie bisognose.
Strano, il mondo, chi più ha, più diviene egoista, e chi più non ha, più è generoso.
Oh, ma non sarebbe servito sfamare il villaggio, nemmeno il mondo: il mio scopo infatti è cercare di far riconoscere a tutti quanto l’amore superi di gran lunga tutti i possedimenti. Quanto ciò che si è è più immenso di ciò che si ha.
Riprendo a camminare, fermandomi solo alla soglia d’una porta di legno massiccio, ben tenuta e decorata. Essa sigillava all’interno un’intera cerchia di parenti, intenti a scartare pacchi e a ridacchiare gaiamente.
Prendo una rosa arancione e la poso sul gradino dinnanzi all’entrata.
Con essa, un biglietto: “la vera gioia è contagiosa, non si chiude dentro la scatola della vanità”.
Proseguo lungo il mio percorso,distribuendo rose e bigliettini a tutta la città, di tutti i colori, di tutte le essenze.
Ognuno aveva bisogno d’aiuto, sia ricco, sia povero, sia giovane, che malato, che vecchio.
Oramai è sera, ma il cestino è ancora magicamente pieno.
In ultimo mi soffermo davanti alla finestra bisunta d’una famiglia numerosa.
Stavano pregando attorno al tavolo, sul quale era adagiata l’unica pietanza per la cena: una minestrina, più acqua che il resto.
Un pargolo piangeva per la fame, mentre la madre cercava di cullarlo.
Eppure tutti erano felici, si sorridevano.
Prendo il mio fiore più prezioso, bianco screziato di Magenta, e gli allego un messaggio:”Di tutte le case che ho visitato oggi, questa è quella che ha capito meglio di tutte cosa significhi vivere.”
Poi, volo verso il cimitero, lasciando cadere il mio tesoro sulle croci di coloro che vissero con me, amandomi.
Faccio appena in tempo a mandare un bacio a Gabriel, perché già vedevo i miei piedi scomparire nell’ombra, fino al prossimo Natale.
Accudisci le mie uova e sarai ricambiato, parola di Pika;)

Messaggio 11/11/2007, 16:46

Messaggi: 1798
non mi piace il tempo nell'ultima frase: passi dal presente "faccio" a "già vedevo", non mi suona bene :? ci metterei un altro presente. per il resto, è bello, ma è proprio straziante, ti fa venire il cuore piccolo piccolo :o ma che concorso è :?:

Messaggio 11/11/2007, 17:34

Messaggi: 776
Località: S2

Bene, se è straziante e fa riflettere ho raggiunto il mio scopo :P

E' un concorso organizzato dalla regione Lombardia, a tema "racconto da leggere a Natale"..spero di vincere, perchè sono animata da buoni propositi.
Accudisci le mie uova e sarai ricambiato, parola di Pika;)


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