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Fanfiction » Diary ~ Ricordo del cuore postato da Zeno97 (11:27 3/02/15) |
~ link diretto a questo articolo Premessa: In questa rubrica "Diary" ho intenzione di scrivere delle storie prendendo spesso spunto dalle mie esperienze personali.Userò anche un pò della mia inventiva, quindi non considerate quello che scrivo come verità assoluta. Spero che possa essere di vostro gradimento! Erano le 7.50 del mattino. Ero ormai pronto per tornare a scuola. Vi chiederete sicuramente come mai avevo deciso di prepararmi così tardi se la campanella suona alle 8.05, giusto? Sappiate che ho la fortuna di avere la scuola sotto casa; una fortuna che nessun studente aveva oltre a me. Infatti una grande quantità di studenti provenivano da diverse città vicine e dovevano svegliarsi presto per prendere l’autobus. Presi lo zaino e uscii di casa. In lontananza vidi gli studenti che si erano riuniti per aspettare vicino all’entrata di quella che fuori poteva sembrare una normale abitazione. Il pensiero di incontrare di nuovo i miei compagni di classe mi fece agitare. Sentivo il cuore battere più velocemente. Quando arrivai anche io vicino all’entrata, riuscii a riconoscere alcune facce familiari. C’erano quelli che mi davano noia, quelli più motivati, quelli depressi, punk e metallari. Questi ultimi erano delle brave persone; con loro ero riuscito ad andare d’accordo. D’un tratto la campanella suonò. Un’enorme quantità di studenti si stava incamminando verso l’entrata della struttura scolastica, ma, piccola com’è, dovevano fare la fila: l’atmosfera era silenziosa, quasi da funerale. Chiesi alla bidella dove si trovava la mia nuova classe e mi stavo dirigendo verso la mia classe, ma vidi un’altra faccia che non vedevo da assai. «Che carina» pensai subito. Avevo intenzione di salutarla, però era accompagnata dalle sue amiche e sarebbe stato sicuramente imbarazzante andare a parlarle in quel momento. Ricordavo di lei perché stavamo nella stessa classe alle medie. Quel periodo era il peggiore che avessi mai passato, ma anche il più intenso perché proprio grazie alle numerose litigate con i compagni, discussioni e altre situazioni difficili sono riuscito ad apprendere molte diverse lezioni di vita. Con quella ragazza non credo di averci quasi mai parlato; effettivamente non ne avevo motivo dato che ero impegnato a fare rissa, ma stranamente ancora riuscivo a ricordarmela. Non aveva lineamenti da urlo; infatti era un pò minuta, però ciò che più mi piaceva di lei era sicuramente il sorriso sul suo dolce viso e la sua gentilezza. Avevo raggiunto la mia classe. Poco dopo entrò il professore di matematica che… si mise a fare lezione. E’ un professore abbastanza severo, però simpatico per il suo modo di parlare: comincia ogni frase con “Alloooora”, ma la cosa più divertente di lui è la pronuncia della “x” in “Icsi”. All’inizio facevo uno sforzo sovrumano per non ridere. Dopo di lui arrivò il professore di telecomunicazioni: lo odio a morte, anzi tutta la nostra classe lo detesta dato che era palese che non lo avevano ancora licenziato per l’amicizia con il preside. Pochissimi riescono ad avere la sufficienza con lui. Le sue spiegazioni non possono considerarsi tali visto che da per scontato troppe cose importanti e sembra più un “approfondimento” di quello che ancora non sappiamo. La nostra è una classe di informatica, quindi l’anno prossimo non avremo né lui né la sua materia; poveracci quelli che fanno elettronica con lui. I professori che seguirono dopo si possono considerare normali, quindi non meritano una descrizione speciale. La campanella che indicava la fine della giornata suonò. Incontrai di nuovo quella ragazza fuori dalla struttura. La guardai per un paio di secondi volendo imprimere la sua immagine nella mia testa. Vidi quella ragazza di nuovo il giorno successivo sia all’entrata sia all’uscita. La vidi ogni giorno, ma senza mai parlarle. Avevo la testa per la scuola. Lo studio è sempre stata la mia priorità; infatti non ci pensai più di tanto. Non ci pensai fino a quando non decisi di confidare questo segreto ad una mia amica; le raccontai di quello che provavo e della mia situazione, e mi consigliò la cosa apparentemente più semplice da fare: parlarle. Sussultai. Come potevo rivolgerle la parola di punto in bianco se non siamo mai stati veramente amici? L’alternativa era scriverle, ma sbagliai dato che non ero abituato ad iniziare una conversazione e quindi ero passato dritto al punto chiedendole se le andava di parlare. “Messaggio visualizzato” senza nessuna risposta: me l’ero cercata. Provai a parlarle dal vivo il giorno successivo, però nell’atmosfera c’era tensione. «Ciao, ti ricordi di me?» «Si» «Come stai?» «Bene» «Ciao» Mossa inutile. Giunta la sera, mentre stavo a casa steso sul letto, avevo dei pensieri fissi che mi giravano nella testa: Com’era carina Volevo la sua amicizia Quanto la desideravo In quella serata, il pensiero di quella ragazza era diventato un’ossessione, ma perché? Come mai desideravo tanto starle vicino? Mi consideravo più brutto della morte e con innumerevoli difetti, quindi come potevo osare solo pensare di avere qualche possibilità con lei? Poi non sarei stato sicuramente l’unico a trovarla bella, perciò sarebbe stato inutile aggiungermi alla massa che le corre dietro. Chiesi consiglio ad un mio amico che aveva un notevole successo con le donne. Mi piaceva sentire le sue storie e i suoi stratagemmi che usava per conquistare il cuore delle ragazze; lo trovavo divertente, però il suo più grande difetto era la mancanza del controllo: era arrivato addirittura a stare con 3 ragazze. Il consiglio che ricevetti era lo stesso, ed infatti ottenni lo stesso risultato. La delusione mi faceva stare male dentro: avevo realizzato di essere in un mondo diverso dal suo, quindi non ci sarebbe stato modo nemmeno di averla come amica. Un giorno in classe parlai casualmente con un compagno di classe che aveva anche lui successo con le donne, ovviamente parlando in generale senza svelare nulla di me. Mi presentò uno schianto di ragazza, parlammo e organizzammo una uscita a 3 per la sera successiva. Inutile dire che mi preparai come meglio potevo per essere presentabile ma senza essere né formale né elegante. Cominciavo già a sentire l’esitazione. Andammo a mangiare qualcosa in uno dei due bar che si trovavano nella piazza principale della mia piccola città, ma poi cominciarono a bere alcolici mentre io preferivo astenermi e limitarmi solo al chiacchierare. Il tempo passò in fretta: era più di mezzanotte. La fidanzata del mio compagno di classe venne a prenderlo con la macchina per accompagnarlo a casa, perciò toccava a me riportare a casa la ragazza sotto richiesta del mio amico. Si avvicinò e mi mise in tasca quello che sembrava essere una bustina. «Divertiti» disse con un largo sorriso da ebete stampato in faccia. Per fortuna, la casa di questa ragazza non era molto distante. Mi invitò dentro, e io accettai. «Torno subito» disse prima di allontanarsi. Avvertivo una strana atmosfera. Ripensai all’ultima cosa che il mio compagno di classe mi disse e mi ricordai che mi aveva messo qualcosa in tasca, quindi ci misi la mano dentro e tirai fuori il contenuto e osservai. Rimasi pietrificato da quella bustina. Non che mi dispiacesse. Dopotutto non capita spesso di avere occasioni simili con una tipa del genere. Avrei potuto togliermi la soddisfazione. Sarei potuto cambiare. Mi sarei divertito. Nonostante questi pensieri mi sentivo triste. Sentivo la mancanza di qualcosa In realtà non desideravo veramente questo In cuor mio sapevo di essere sul punto di fare la cosa sbagliata perché stavo andando contro i miei stessi desideri. Stavo in qualche modo tradendo il mio amore per Lei Il tempo pareva essersi fermato. Le lacrime stavano scorrendo sulle mie guance al suono rimbombante di questi pensieri nella testa. Sentivo di dover fare la cosa giusta e quindi presi la mia decisione: andare via. Scappai da quella abitazione, buttai nel cestino quella dannata bustina e tornai a casa mia di corsa, senza voltarmi. Quello che provo è un sentimento strano. Non è perversione. A dir la verità, non mi passa per la testa di stare con lei per fare quello, infatti per questo ne andavo fiero. C’è chi riesce a fare quello, ma poi quanto potrebbe durare? Anni, mesi, giorni, o addirittura una notte? Quel che sento è un qualcosa di semplice. Mi basterebbe starle vicino per farmi sentire bene perché potrei vederla sorridere, se sta bene, ma nemmeno questo è possibile; una volta diplomati ognuno intrapenderà la sua strada, e magari nemmeno si ricorderà più di me dato che si costruirà la sua vita con la persona che sceglierà. Non potrò nemmeno avere l’occasione di vederla per sbaglio perché, una volta diplomato, mi trasferirò in una città lontana da questa con la famiglia. Perderò tutte le amicizie e le conoscenze fatte fino ad ora, ma va bene così; c’è ancora il presente che voglio trascorrere per crearmi dei bei ricordi, e quello di questo amore sarà sicuramente tra questi. |
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Con la testa fra le nuvole - 11- Giusto/Sbagliato postato da frankie0 (17:03 28/01/15) |
~ link diretto a questo articolo Salve, amici towniani.Eccoci giunti all'undicesimo appuntamento con questa rubrica. E' da un po' di articoli ormai che vi propongo riflessioni tratte da fumetti italiani quindi mi è sembrato giusto variare e spostarmi nuovamente verso oriente. Ebbene sì, si parla di un manga e, per giunta, di uno dei più famosi, amati e discussi: Death Note. Anche se dubito che tra voi ci sia qualcuno che la ignori, ecco due paroline sulla trama di Death Note. Light Yagami è uno studente giapponese modello che cova dentro di sé una grande insoddisfazione per la vita che conduce e per la società che lo circonda. La sua vita cambierà quando, un giorno, entrerà in possesso di un "quaderno della morte" (il Death Note, appunto), lasciato cadere sulla Terra dallo shinigami ( ="dio della morte") Ryuk. Il quaderno della morte offre al suo proprietario il potere di uccidere una persona di cui si conosce il volto semplicemente scrivendone il nome all'interno. Light deciderà di usare tale potere per uccidere i criminali e diventare il dio di un nuovo mondo in cui tutto il male è stato estirpato. Ben presto il ragazzo attirerà l'attenzione di tutto il pianeta, tanto che gli verrà attribuito il soprannome di "Kira (dalla pronuncia giapponese della parola "killer"). Per frenare la giustizia sommaria di Kira Interpol si rivolgerà a L, il detective numero uno al mondo di cui nessuno conosce la vera identità. Eccovi tre tavole, tratte dal primo volume della serie, che segnano proprio la svolta nella vita del protagonista. Vi ricordo che, trattandosi di un manga, le vignette vanno lette da destra verso sinistra come in originale. [Mostra] Spoiler: testo nascosto Mi pronuncio brevemente sulla questione morale posta dal manga che ha spaccato in due il pubblico: sono completamente schierato contro Kira. Questo non solo perché trovo sbagliato il suo principio di fondo (argomento già trattato nel primo capitolo di questa rubrica), ma anche perché sarà Light stesso a smentirsi presto nel corso della storia, uccidendo persone innocenti che ostacolano i suoi piani e quindi per puro tornaconto personale. In realtà, con questo articolo, voglio chiedermi (e chiedervi) se questa questione morale esista davvero. Light pensa di agire per una giusta causa e trova il sostegno di altri personaggi all'interno della storia e anche di molti lettori; diametralmente opposta è la posizione di chi invece pensa che i principi del protagonista siano sbagliati e malvagi. Due punti di vista molto diversi, ma c'è qualcuno che ha ragione? Per portarvi al punto focale del discorso mi torna utile un'altra citazione, proveniente dalla serie tv Dexter, la quale recita (all'incirca): "I peggiori assassini sono quelli che, in qualche modo, pensano che le vittime se lo meritino". Trovo che questa frase sia estremamente calzante: non si può ridurre ad un'opinione il diritto alla vita di una persona e per questo giustificare un omicidio. Ragionando in questo modo, anche i nazisti pensavano che gli ebrei meritassero di essere sterminati: era la loro opinione. Infatti, tale logica può essere applicata anche al razzismo o a qualsiasi altro tipo di discriminazione in cui, pensando che un'opinione sia legittima, si va ingiustamente a limitare la libertà di un individuo. Non me ne vogliano i sostenitori di Light (anzi, li invito caldamente a contraddirmi con validi argomenti), anche perché in un prodotto di finzione non c'è niente di male a simpatizzare per un cattivo, ma credo che quando c'è di mezzo qualcosa di superiore, come può essere la libertà di esprimersi o il bene della comunità, i concetti di "giusto" e "sbagliato" smettano di essere soggettivi. Voi da che parte state? Siete pro o contro Kira? Ma soprattutto si può ridurre a un'opinione il giudizio sulla vita o la morte di una persona? Come al solito potete rispondere con un commento. A me non resta che ringraziarvi e sperare di non avervi annoiato troppo. Arrivederci al prossimo articolo. |
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Con la testa fra le nuvole - 10 - Il calcio postato da frankie0 (21:07 15/01/15) |
~ link diretto a questo articolo Salve, amici towniani.Con questo articolo la presente rubrica raggiunge la doppia cifra (cosa che mi porta via un carattere per il titolo!) e, per la prima volta, torna sulle pagine di una testata già sfogliata un po' di tempo fa: Topolino. Per la precisione si tratta di una storia pubblicata sul numero 2536 della rivista settimanale, uscito nel luglio 2004, dal titolo "Paperino e il rigore decisivo". Vediamone qualche vignetta: [Mostra] Spoiler: testo nascosto In questa storia Paperino ha la grossa responsabilità di calciare un rigore decisivo all'ultimo minuto di recupero della partita tra la Paperopolese e la Rockerduckese, finale di ritorno della Duck Cup. L'eventuale gol sancirebbe il punteggio di 2-2 che assegnerebbe la coppa alla Paperopolese (vincente all'andata per 1-0), in caso contrario sarebbe la Rockerduckese a trionfare. Il racconto è ambientato in gran parte nella testa di Paperino, il quale prevede inizialmente le conseguenze catastrofiche a cui andrebbe incontro se sbagliasse, per poi immaginare il trionfo e l'acclamazione che lo circonderebbero in caso di successo. Alla fine il papero decide di sgombrare le mente e di calciare senza pensare alle conseguenze, lasciando il lettore col dubbio sull'esito della partita. "Paperino e il rigore decisivo" è una storia che ho sempre apprezzato molto per la critica a quello che mi piace chiamare "il mondo intorno al calcio". La popolarità di questo sport ha fatto accrescere enormemente gli interessi di chi lo gestisce e i livelli di competizione e di rivalità al suo interno. Ciò ha reso difficile parlare del calcio come di un semplice sport proprio perché si tratta di un fenomeno di massa che ha invaso altri settori andando così a creare un mondo a sé stante fatto non solo di partite, ma anche di affari, gossip e, purtroppo, cronaca nera. Chi di voi ha letto la storia (o lo farà) avrà presente le mille sventure a cui il povero Paperino si prepara ad andare incontro nel caso in cui sbagliasse il rigore: la sconfitta della sua squadra si ripercuoterebbe inesorabilmente su tutti gli aspetti della sua vita. Ecco che quindi sente su di sé la responsabilità di segnare a tutti i costi quel rigore e tuffarsi nella gloria. l livelli di competizione che il calcio ha raggiunto hanno praticamente reso intollerabile la sconfitta e questo lo si vede, ad esempio, nell'ormai frequente accanimento mediatico e delle tifoserie quando una squadra si ritrova in crisi di risultati positivi, e alla conseguente ricerca di un capro espiatorio. Se questo da un lato fa bene al calcio poiché dà modo di parlarne tanto e richiamarne intorno sempre più interesse, dall'altro va anche a minare la sua natura sportiva fatta di gioco e divertimento, oltre che di competizione. Ciò di cui Paperino si rende conto alla fine della storia è una cosa che, a mio parere, i tifosi e i calciofili dovrebbero sempre tenere a mente: per ogni squadra che perde ce n'è un'altra che vince e per ogni tifoso che esulta ce n'è un altro che si dispera, quindi nella visione complessiva importa poco a quale delle categorie si appartenga in quel momento. Se si riuscisse a trovare nel calcio soltanto un motivo per divertirsi, piuttosto che per sfogare rabbia, odio o addirittura generare episodi di violenza, potremmo tutti goderci molto meglio un grande spettacolo. E ora (è proprio il caso di dirlo) passo la palla a voi: è possibile ritrovare nel calcio qualcosa che unisca invece di dividere? E' giusto sacrificare certi valori per accrescere il successo di tale sport e gli interessi di chi lo pratica e/o lo gestisce? Come sempre potete dirlo con un commento. Dallo stadio di Paperopoli è tutto, arrivederci al prossimo articolo. |
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