«Professore, tra quanto arriveremo?».
«Manca poco, Luke, pazienta ancora un po'». Hershel Layton si aggiustò la vistosa tuba che portava in capo. Era la cosa a cui teneva di più, e non se la sarebbe tolta per nulla al mondo, in pubblico. Era un vero gentiluomo, magro, alto, con occhi simili a fessure e un sorriso amichevole. Layton era un docente di archeologia, ma era noto soprattutto per la sua peculiare abilità nel risolvere enigmi. Luke era il suo apprendista; un ragazzino di soli dodici anni, ma un patito ammiratore del professore che considerava come idolo ed esempio.
«Però questo è un caso davvero strano. Perché hanno chiamato lei, professore, oltre alla polizia? Di solito la gente richiede solamente l'aiuto degli investigatori».
«Che, a loro volta, chiamano noi. Vedi, Luke, Clint è un mio caro amico. Ci siamo conosciuti nel bel mezzo di una ricerca in Marocco, e devo dire che è proprio un gran lavoratore. Forse non brilla d'ingegno, ma ognuno ha le sue proprie qualità, non trovi, Luke?».
«Certo professore» disse annuendo il ragazzo. Layton si mostrava tranquillo, ma in realtà la vicenda l'aveva scosso molto. Dette un'occhiata fugace al telegramma scritto da Clint, appoggiato sul sedile adiacente al suo.
Caro Hershel, mi scuso per la tarda ora, ma dovevo assolutamente contattarti. Ieri sera è accaduto un fatto che mi ha davvero sconvolto. Mia figlia ha detto che la notte sente dei rumori provenire dall'esterno della nostra villa tutte le notti, che le impediscono di dormire. Io non ho mai udito niente del genere, ma questa faccenda è molto strana: i nostri sistemi di sicurezza non hanno mai individuato nessuna intrusione. E inoltre, nessuno è mai entrato in casa, e dubito ci abbia mai provato. Tutto questo m'insospettisce; adesso ho chiamato la polizia privata per sorvegliare la notte, e i rumori non si sentono più. Però non sono ancora sicuro, e vorrei che tu chiarisca la faccenda. Sono disposto anche a pagare purché tu faccia luce su questo intricato caso.
Clint
«Ecco, ci siamo; vedo la città, professore!».
«Il paesino, forse. Albarossa è un piccolo borgo, affascinante credo. Non ci sono mai stato».
Albarossa comparve in tutto il suo splendore qualche minuto dopo. Era un bizzarro paese fiorito su un isolotto in mezzo al mare, a pochi metri dalla costa. Layton giunse nei pressi della distesa marina, e attese che il ponte levatoio scendesse per permettere loro di passare. Era incredibile vedere come in mezzo alla spiaggia si trovasse una carreggiata in catrame, ristrutturata da poco.
I due furono costretti a lasciare l'auto nell'immenso parcheggio in periferia dell'isola poiché era vietato utilizzare mezzi di trasporto nella cittadina. Si vedevano in giro molti pedoni; altri andavano in bicicletta. Per le strade c'erano anche un pullman rosso, unico mezzo pubblico del paese, e le macchine delle autorità. Luke si guardava intorno estasiato: infatti il luogo brulicava di verde. Parchi, giardini, campi coloravano il paesaggio, mentre il blu del mare e l'azzurro del cielo si univano in una sorta di abbraccio eterno. Layton notò con piacere una grande biblioteca, e accanto un liceo. Pur essendo piccola, Albarossa non mancava di niente e si proponeva come un villaggio vivo e brulicante di persone. Poi, i due intravedettero una discoteca, morta a quest'ora del primo pomeriggio. Poco lontano stava la residenza di Clint. Era una villa possente, con un vasto giardino, e antiche decorazioni. Sembrava fosse appartenuta ad un passato re. Si capiva che Clint era una persona di estrema rilevanza ad Albarossa, una specie di governatore locale, malgrado ufficialmente il paesino facesse parte del comune vicino e rispondesse a quel municipio.
«Clint!».
«Oh, Hershel, ben arrivato! Buongiorno anche a te, Luke!».
«Buongiorno, signore» rispose Luke in tono educato.
«Come stai? È da tanto che non ci vediamo» commentò Layton.
«Davvero! Ma accomodati. Ho fatto preparare una tazza di buon tè alla cameriera, so che ti piace molto».
«Beh, che gentiluomo sarei se non prendessi una tazza di tè?» rispose il professore con ironia, e accettò la porcellana che gli veniva posta.
Clint chiamò la figlia: «Annie! È arrivato il professore! Vieni a salutarlo».
La ragazza scese poco dopo. Indossava una veste azzurrina, e doveva avere su per giù diciassette anni. Era molto carina, con lunghi capelli biondi e un sorriso semplice e ingenuo, come quello di una bambina. La veste lasciava scorgere i piedi, quasi candidi e con unghie abbastanza lunghe, ma curate. Lo stesso valeva per le mani, se non di più: le unghie erano quasi aguzze, ma tagliate ad arte. Non davano assolutamente l'idea di trascuratezza.
«Salve signorina, come sta?» chiese Layton baciandole la mano.
«Tutto bene, grazie».
«Adesso, però, descrivetemi il motivo per il quale mi avete chiamato».
Rispose Annie. «Beh, è stato mio padre a volerla, ma adesso che l'ho incontrata credo che abbia fatto la scelta giusta». Layton abbozzò un sorriso. «Adesso le spiego» continuò la figlia. «È da un po' di tempo, quattro giorni mi pare, che sento dei rumori provenienti dall'esterno, la notte. All'inizio ho pensato che fosse solamente frutto della mia immaginazione, ma dopo il quarto giorno non ho più resistito alla paura e ho informato mio padre. Abbiamo deciso, insieme, che l'ispettore Denny si occuperà della sorveglianza e lui, seppur riluttante, ha accettato, abbandonando i compiti giornalieri e iniziando a a lavorare in notturna».
«Gran brutto colpo» disse Layton «Io non ce la farei a stare sveglio la notte, sono fin troppo pigro».
«Non faccia il modesto, professore» commentò Luke. Poi si udì un tonfo e uno schiocco provenire da una stanza vicina. «Oddio!». Layton balzò in piedi.
«Non si preoccupi, professore, è solamente Sara, la nostra badante». Infatti dalla camera poco distante piombò una signora un po' cicciottella, con le guance paffute e due occhi dolci. «Professore, mi scusi se le ho fatto prendere uno spavento, stavo riordinando la dispensa» si scusò Sara. «Non si preoccupi, non è niente». «Davvero» aggiunse quando la badante cominciò a innervosirsi.
«Signori, potrei parlare un momento in privato con Sara? Dovrei chiederle una cosa».
«Fai pure, Hershel, fa' come se fossi a casa tua». Sara condusse Layton in una stanza nel seminterrato e chiuse a chiave la porta. C'era uno strano odore di chiuso e la stanza non sembrava proprio conciata nel migliore dei modi: in alcuni punti l'intonaco era molto fragile, mentre negli angoli si annidavano ragnatele. «In cosa posso esserle utile?» lo interpellò la donna.
«Oh, solo una domanda: lei ha mai sentito quegli strani rumori provenienti dall'esterno, la notte?».
«Beh, se devo essere sincera no, ma non si preoccupi, ho il sonno molto pesante, dubito che nemmeno un allarme riesca a interrompere il mio riposo. Lavoro molto il giorno, per cui la sera non mi faccio tanti giochi d'immaginazione o altro, ma cado sfinita nel letto. Non per nuocere alla signorina, ma se fosse veramente stanca non udirebbe nulla la notte. Ma meno male che non è così, almeno sappiamo che c'è qualcosa che non va. Sinceramente, sono un po' preoccupata anch'io per questa cosa».
«Giustamente. Grazie mille, mi è stata veramente d'aiuto».
«Non c'è di che».
I due riemersero alla luce del costoso lampadario in pietre preziose che oscillava sopra i presenti e si separarono. «Ha scoperto qualcosa d'interessante, professore?».
«Per adesso no, ma questo caso mi pare realmente confuso. Vedremo stanotte. Hai paura, Luke? Ti vedo un po'...spaesato».
«No, professore, ma quando sarò a letto non chiuderò occhio...».
«Devi stare tranquillo. Dopotutto, stasera saremo sotto sorveglianza della polizia, no? Non c'è nulla da temere».
«Ok» rispose Luke alzando il capo e sorridendo di nuovo al professore.