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La storia è nota da un po'. Ha circolato in internet ed è comparsa su alcune riviste. Riprende notizie pubblicate dai giornali moscoviti negli anni Sessanta. Ma non per questo ripeterla è superfluo.
Si dice che gli astronauti, all'epoca della corsa allo spazio di Stati Uniti e Russia, si imbatterono nella necessità di trovare una penna che scrivesse nello spazio. Ma né le penne stilografiche né quelle a sfera funzionavano. Nelle prime, le variazioni di pressione spargevano l'inchiostro in goccioline nello spazio. Nelle seconde, l'assenza di gravità impediva che l'inchiostro fluisse fino alla punta: proprio come succede quando cerchiamo di scrivere con le normali penne a sfera tenendole con la punta sollevata, l'inchioostro non applicava pressione sulla piccola sfera e non arrivava alla carta.
Statunitensi e russi, di fronte al problema, adottarono soluzioni differenti. La Nasa spese milioni di dollari in ricerche per trovare strumenti di scrittura alternativi. Alla fine, dopo anni di lavoro di numerose squadre, riuscì a creare una pèenna a sfera che scriveva nel vuoto dello spazio e in assenza di gravità. Funzionava grazie ad un complesso serbatoio pressurizzato, motivo per cui non divenne mai una soluzione pratica.
Alla prese con lo stesso problema, gli astronauti russi trovarono un'altra soluzione: presero a usare la matita!
Quando si racconta questa storia, le persone di solito ridono. Naturalmente, è una storia che rafforza certi stereotipi e conferma che le idee semplici sono le migliori.
Però, la lezione è ambigua. Sarà vero che non vale la pena cercare soluzioni tecnologiche alternative quando si hanno già strumenti in grado di svolgere la funzione in causa? Sarà vero che si deve procedere con gli studi solo quando si ha la certezza che si troverà una soluzione redditizia?
Questi interrogativi sono legittimi, ma la parte più sorprendente nopn è ancora arrivata. Proprio così: la storia è completamente falsa!
In realtà, sia i russi che gli americani usavano le matite per scrivere nello spazio. E lo fecero sin dall'inizio delle missioni spaziali. Poi smisero di usarle perché creavano gravi problemi. Ogni volta che alla matita si spezzava la punta, questa si perdeva per la navetta, andando a volte ad infilarsi tra gli strumenti elettrici e provocando dei corto-circuiti. Ancor più pericolose erano le sottili polveri di grafite, che fluttuavano nello spazio e si infilavano negli orifizi più minuscoli. Se raggiungevano una parte della cabina riscaldata, potevano incendiarsi istantaneamente, data l'elevata percentuale di ossigeno all'interno delle astronavi. Perciò, sia gli americani che i russi erano interessati a trovare strumenti di scrittura alternativi.
Il problema venne risolto non dalla Nasa, che non spese un centesimo nella ricerca, ma dal fabbricante statunitense Paul C. Fisher, che investì una certa cifra nelle ricerche per la penna a sfera spaziale, niente di simile a milioni di dollari, comunque. La Nasa non rimborsò questo investimento e si limitò a comprare le penne al loro inventore, che le vendette a 2,95 dollari l'una. A partire dal 1968, le Fisher space pens, come sono conosciute, fanno parte dell'equipaggiamento base degli astronauti.
Queste penne continuano a essere commercializzate dalla Fisher e alcuni modelli sono venduti a bordo degli aerei di alcune compagnie aeree. Funzionano nel vuoto, senza gravità, e non bruciano. Scrivono sia al caldo, fino a 150 gradi, sia al freddo, fino a 120 gradi sotto zero. È molto meglio della matita.
Per chi ha avuto la forza di spirito di arrivare a leggere fino alla fine: ho recuperato questo testo per far riflettere sopratutto tutti quegli utenti che, quando metto il sito in manutenzione, al ritorno non hanno niente di meglio da dire che "Ma non è cambiato niente". Enjoy!
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